Grani antichi nemici dei celiaci

Di   7 Gennaio 2019

I grani antichi sono veramente migliori di quelli moderni da un punto di vista nutrizionale? È vero che anche  le persone intolleranti al glutine e i celiaci possono consumare queste varietà senza problemi ? No. Il Crea ha confrontato 9 grani antichi e 3 moderni, il grano antico contiene più proteine dannose per i celiaci rispetto a quello moderno.

mietitura grano

I grani antichi hanno una maggiore componente proteica e rilasciano quantità superiori di peptidi scatenanti la celiachia

Negli ultimi anni sono state reintrodotte sul mercato alcune varietà di grani cosiddetti “antichi”, presentati come più autentici, meno raffinati, più digeribili e meno ricchi di glutine rispetto al grano oggi coltivato su larga scala. Si tratta di un insieme di varietà come  Tumminia, Saragolla, Senatore Cappelli, Russello, Bidì, Biancolilla, Ardito, Maiorca e Perciasacchi, caratterizzate visivamente da un fusto più alto rispetto a quelli moderni. Queste varietà erano molto coltivate nei primi decenni del secolo scorso. Poi, tranne qualche eccezione come il Senatore Cappelli tornato in auge negli ultimi anni, sono quasi del tutto scomparse per via delle  rese troppo basse.

La scelta commerciale comprensibile di rinnovare l’assortimento guardando al passato,  ha lasciato spazio alla diffusione di alcuni falsi miti, talvolta utilizzati per giustificare costi di vendita piuttosto alti. Non è vero, per esempio, che i grani antichi siano più autentici, in quanto non sottoposti a selezione genetica. I grani antichi, così come quelli moderni, sono stati spesso selezionati mediante incroci e ibridazioni.

Soprattutto per quanto riguarda la quantità di glutine, non è vero che i grani antichi ne contengano meno di quello moderno, e siano più adatti ai soggetti celiaci. I grani antichi coltivati in Italia contengono più proteine e rilasciano una quantità maggiore  di peptidi scatenanti la celiachia rispetto a quelli moderni. È questa la conclusione di uno studio  pubblicato sulla rivista Food Research International, firmato dal  gruppo Cerealicoltura e Colture industriali del Crea  (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) con sede di Foggia insieme alle Università di Modena e Reggio Emilia e di Parma, all’interno del progetto “Antiche varietà di frumento duro e salute”. I ricercatori hanno confrontato 9 grani antichi, diffusi nel Sud Italia e nelle Isole dagli inizi del 1900 fino al 1960 (e considerati ormai obsoleti), con 3 grani moderni, valutando sia le componenti che provocano reazione immunitaria alle persone celiache sia il contenuto di carboidrati potenzialmente prebiotici (composti che favoriscono la crescita dei batteri probiotici) come amido resistente (tipo di amido presente negli alimenti che non viene digerito dall’apparato digerente) e fibre.

I campioni sono stati coltivati e raccolti presso il Crea nelle stesse condizioni sperimentali di campo e macinati. Lo sfarinato integrale è stato sottoposto a digestione in vitro. I frammenti di proteine ottenuti – in particolare quelli responsabili della risposta immunitaria che caratterizza la celiachia – sono stati analizzati mediante cromatografia accoppiata alla massa per  identificare e quantificare il tipo di proteine.

Per quanto riguarda le componenti prebiotiche è stato selezionato un grano antico ed uno moderno, caratterizzati da valori contrastanti per quantità di fibra e/o amido resistente, ed è stata prodotta la pasta in diverse condizioni di essiccamento. Su ogni tipologia di pasta così ottenuta è stato valutato la presenza di amido resistente, prima e dopo la cottura.

Premesso che nessun celiaco può assumere prodotti ottenuti da grano, segale, farro, orzo e avena, secondo lo studio i grani antichi sono caratterizzati da una maggiore componente proteica e rilasciano quantità superiori di peptidi scatenanti la celiachia rispetto ai moderni.  Per quanto riguarda il contenuto di prebiotici (amido resistente) i controlli effettuati dopo la cottura della pasta non hanno evidenziato differenze sostanziale , escludendo quindi un potenziale prebiotico superiore nei grani antichi. “Sebbene l’indagine sia stata condotta su un numero limitato di genotipi – afferma Donatella Ficco coordinatore del team Crea – rappresenta un importante contributo di conoscenza su un argomento molto dibattuto, su cui il consumatore fa fatica a distinguere la moda dalla scienza e in cui spesso, purtroppo, la disinformazione regna sovrana, a danno del portafoglio e della salute”.