Per gli esperti il futuro dell’agricoltura non è nel bio

Di   9 Gennaio 2019

Appello degli esperti al Parlamento: il futuro dell’agricoltura non è nel bio, ma nell’integrazione delle migliori tecnologie disponibili. I firmatari della richiesta chiedono, a chiunque lo desideri, di sottoscrivere la petizione (clicca qui per accedere) per dare forza al loro appello.

“Far assurgere le produzioni di nicchia del biologico e del biodinamico a pilastri dell’agricoltura nazionale è una scelta improvvida per un Paese dove solo il 70% del cibo che consumiamo è prodotto dalla nostra agricoltura e che vede la propria sovranità alimentare inesorabilmente erosa da decenni di rifiuto dell’innovazione nel settore della genetica vegetale e delle tecniche colturali”.

Lo scrivono Luigi Mariani (Università degli Studi di Milano), Bruno Mezzetti (Politecnico delle Marche) e Donatello Sandroni (dottore in Scienze Agrarie e divulgatore scientifico ), tra i 66 firmatari di un documento inviato a tutti i Deputati a seguito dell’iter legislativo del testo unificato in tema di agricoltura biologica, discusso e approvato alla Camera dei Deputati a dicembre 2018. Sessantasei esperti fra docenti universitari, ricercatori e imprenditori agricoli hanno deciso di commentare la recente discussione alla Camera sul testo unificato in tema di agricoltura biologica, approvato lo scorso 11 dicembre ed auspicano “un più elevato livello di attenzione alle istanze del mondo dell’agricoltura” nella prossima discussione della proposta di legge che sarà svolta in Senato.

Tra i firmatari ci sono anche il prof. Tommaso Maggiore (Università degli Studi di Milano), Elena Baraldi (Università di Bologna), Ettore Cantù (già Presidente di Confagricoltura Lombardia e di ERSAF Lombardia, Presidente Onorario della Società Agraria di Lombardia), Dario Casati (Università degli Studi di Milano), Osvaldo Failla (Università degli Studi di Milano), Dario Gianfranco Frisio (Università degli Studi di Milano), Francesco Salamini (Università degli studi di Milano, Accademico dei Lincei) e Ignazio Verde (CREA).

VEDI TUTTI I FIRMATARI e SOTTOSCRIVI

L’agricoltura italiana – ricordano i 65 firmatari del documento – per mantenersi competitiva merita un’attenta valutazione dei dati disponibili e un atteggiamento culturale aperto all’innovazione e rispettoso della libertà di innovare nelle nostre imprese che devono in ciò essere adeguatamente supportate dai nostri centri di ricerca.

Per garantire sicurezza alimentare a un mondo che nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi di abitanti, in larga maggioranza inurbati, non è sufficiente fare appello ai valori della tradizione ma occorre mirare all’integrazione delle conoscenze dell’agronomia e agroecologia con le migliori tecnologie che la ricerca scientifica mette a nostra disposizione (genomica, nuove biotecnologie, proteomica, metabolomica, tecniche di difesa integrata, RNAi, informatica, robotica, micro-fertirrigazione, ecc.), fondamentali per migliorare la produttività, la sostenibilità e la sicurezza delle produzioni agricole.

Frumento bio e frumento convenzionale

Secondo i dati 2007-2015 raccolti dall’Académie d’Agriculture de France il frumento convenzionale francese produce in media 7,3 tonnellate per ettaro mentre il frumento biologico ne produce 2,9 (il 68% in meno). Il caso francese è esemplare in quanto la Francia oltre a essere tecnologicamente all’avanguardia è il primo produttore di frumento dell’Unione Europea e produce sette volte l’Italia. Oggi nel nostro Paese il 10% della superficie coltivata a frumento usa il metodo biologico e abbiamo un livello di autosufficienza del 60% per tale cereale. L’autosufficienza si abbasserebbe però al 45% se il biologico andasse a occupare il 40% della superficie totale a frumento e addirittura al 22% se tutta la superficie a frumento fosse coltivata a biologico.

Cosa accadrebbe se tutto diventasse bio?

Ancor più deleteria si rivelerebbe una conversione globale al biologico. Dimezzandosi infatti la produzione per unità di superficie, occorrerebbe raddoppiare le superfici coltivate, con danni irreparabili alle foreste e alle praterie naturali. A ciò si aggiunga che il rifiuto dei concimi azotati di sintesi che è sostenuto dai seguaci del bio si tradurrebbe nella riduzione del 50% della disponibilità mondiale di proteine per l’alimentazione umana, con conseguenze catastrofiche sul piano della sicurezza alimentare.

Prezzi sostenibili da chi?

La sicurezza alimentare globale sarebbe messa a repentaglio non solo dal calo assoluto di disponibilità di alimenti, ma anche da prezzi che per i prodotti biologici sono molto più elevati, fino al doppio e oltre, rispetto a quelli dell’agricoltura convenzionale.

Il bio deve restare una nicchia

In sintesi dunque non vi è nulla di male se il biologico continua a mantenersi come un prodotto di nicchia appannaggio di piccole elites ma la sua diffusione generalizzata sarebbe deleteria sotto molti punti di vista. Quello che chiede la collettività è oggi cibo salubre in quantità adeguate e a prezzi bassi. Queste sono le garanzie che governi sensibili alle esigenze della popolazione debbono impegnarsi a garantire, indipendentemente dal metodo usato per produrre tale cibo. Su questo sono impegnati gli agricoltori italiani che per tale ragione debbono essere visti dall’intera collettività come una categoria benemerita.

Lotta allo spopolamento delle campagne

Lo spopolamento delle aree rurali si combatte permettendo la crescita di un’imprenditoria realmente competitiva e cioè basata sullo sviluppo di filiere di produzione di elevata efficienza perché adattate alle caratteristiche pedoclimatiche dei diversi areali, capaci di valorizzare le risorse del territorio e di inserirsi sul mercato in modo utile per garantire reddito agli agricoltori. Solo questa agricoltura, diversamente da un biologico altamente sovvenzionato, può essere garanzia di sviluppo per i nostri territori.

Contro i luoghi comuni e gli slogan, il documento spiega che:

  • NON È VERO che i prodotti del biologico non sono trattati chimicamente
  • NON È VERO che i prodotti chimici usati in biologico non sono di sintesi: solfato e l’ossicloruro di rame sono frutto di sintesi condotte da industrie chimiche.
  • NON C’È INTERESSE NAZIONALE nel biologico (se si perde sovranità aimentare che fine faranno le eccellenze alimetari italiane?).
  • NON È VERO che con il bio si riducono le emissioni di gas serra.
  • NON È VERO che la riforma dell’intero sistema agro-alimentare ha bisogno di biologico: servono servizi, tecnologie, infrastrutture e meno frammentazione.
  • NON È VERO che il bio è equo e solidale: costa il doppio e il triplo e non presenta concreti vantaggi in termini di qualità.
  • NON È VERO che il biologico è un fattore di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici: anzi produrrebbe il quadruplicamento delle emissioni di gas a effetto serra.
  • NON È VERO che con il biologico si può rinunciare all’utilizzo dei pesticidi: i viticoltori biologici, senza i pesticidi rameici, perderebbero ogni produzione.
  • NON È VERO che l’agricoltore biologico deve difendersi dai pesticidi usati dal vicino: se vale il principio della difesa di campi “diversamente” coltivati, crediamo sia necessario difendere anche gli imprenditori innovatori che attuano un’agricoltura integrata secondo le vigenti regole e non desiderano che i loro campi siano colpiti dai “pesticidi” distribuiti in grandi quantità sulle coltivazioni biologiche adiacenti. Inoltre, pensiamo ai possibili rischi di contaminazione delle falde con il rame o all’aumento dell’invasività di patogeni e/o di malerbe per le limitate pratiche di controllo fitosanitario sulle colture biologiche.

Per una lettura integrale del documento con le note critiche al testo della proposta di legge, si rimanda al seguente link (cliccare qui).

Per maggiori info: agrarian.sciences@gmail.com