Agricoltura 4.0: ora ci siamo per davvero?

Di   18 Dicembre 2019

Nel corso dell’ultimo workshop dell’Osservatorio Smart AgriFood, guidato dalla presentazione dei risultati preliminari della nuova edizione dell’indagine rivolta alle aziende agricole, sono emersi i seguenti messaggi chiave:

  • tra i fabbisogni, in testa quello legato alla sostenibilità ambientale delle produzioni, seguito dalla semplificazione del lavoro intellettuale; entrambi vengono considerati più rilevanti della riduzione dei costi e del lavoro fisico.
  • tra le criticità, su tutte la mancanza di competenze e la resistenza al cambiamento, non necessariamente riconducibili all’età dell’imprenditore o degli operatori.
  • tra le sfide del prossimo futuro, su tutte la necessità di far dialogare le diverse soluzioni tecnologiche impiegate, in ottica di piattaforma integrata ed interconnessa.

La ricerca non si ferma qui. Le aziende agricole possono ancora contribuire al seguente link

Per ora hanno partecipato alla ricerca 407 aziende, soprattutto del nord (70%), 11% del centro e 19% dal sud. Lo spaccato di ogni singola regione conferma le indicazioni geografiche del 2018 con in testa Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Altro elemento che sta emergendo, diventando anno dopo anno sempre più solido, è la carta di identità dell’imprenditore agricolo, la sua età e formazione scolastica.

Le soluzioni per soddisfare i fabbisogni di sotenibilità spaziano da quelle più basiche come software gestionali ad altre più ricche di tecnologia come i robot e i sistemi di campo e di supporto alle decisioni. In ordine di incidenza:

  1. Gestionali azendali
  2. Sistemi per la mappatura di terreni e coltiavazioni
  3. Monitoriaggio delle attrezzature
  4. Software di supporo alle decisioni
  5. Robot e droni (per ora si registrano meno investimenti in questo settore)

Il passaggio successivo sono i benefici dalle aziende conseguiti attraverso gli investimenti 4.0:

  • Uso razionale di input produttivi, dall’acqua agli agrofarmaci
  • Riduzone di ore di lavoro: efficientamento della gestione
  • Uso più razionale dei macchinari

L’accento è quindi posto più sui fattori produttivi impiegati e le fasi lavorative (materiali, personale e mezzi) e meno sui risultati produttivi (quantità e qualità del raccolto, variabilità di produzione). Dunque è forte la convinzione che, riducendo gli input, la gestione aziendale diventi più efficiente, così come l’uso delle macchine.

Ma, sempre sulla base dei risultati parziali della ricerca dell’Osservatorio Smart AgriFood, le aziende che hanno investito in tecnologie 4.0 hanno riscontrato anche delle CRITICITA‘:

  1. Mancanza di competenze per scaricare a terra i cavalli dell’investimento
  2. Problema dell’interopabilità dei sistemi esistenti: difficoltà di mettere in relazioni i diversi sistemi presenti in azienda. “Si tratta della sfida più complessa per una piena attuazione del paradigma 4.0. Un limite che deve far riflettere anche chi offre tali soluzoni, che ancora ragiona troppo in verticale, tenendosi stretto il proprio silos di servizi. Ma per un imprenditore agricolo o un contoterzista diventa difficile spaccare questi silos e mettere in comune i dati raccolti attraverso machine di costruttori diversi. I sistemi dovebbero poter comunciare fra loro in modo semlice e nativo”: il commento dei ricercatori dell’Osservatorio.
  3. Il rientro dagli investimenti non è tra le priorità. Questo per la convinzione che la spesa sarà recuperata in fretta. “Si tratta di un segnale positivo per il settore”.

La percezione delle criticità, naturalmente, varia a seconda dell’età, con gli imprenditori più maturi che sentono il gap di conoscenze e competenze informatiche.

Le criticità sono vissute in modo diverso da aziende piccole e grandi: le seconde sono più consapevoli dei problemi 1 e 2, ma sono anche le meno spaventate dal ritorno degli investimenti.

Il seminario è proseguito con la presentaione di tre casi aziendali, quello dell’Agricola Reggiana (Fabio Coloretti), di Rizzi sas (Carlo Maria Bussolati) e dell’Azienda Finato Martinati (Paola Aguzzi).

L’Agricola Reggiana è una azienda vitivinicola a filiera completa (da potatura alla commercializzazione del prodotto finito) di 19 ettari. Le tecnologie 4.0 hanno permesso di affrontare alcune problematiche gestionali come la frammentazione aziendale in 3 corpi differenti (in collina ciò si traduce in altitudini e microclimi diversi e trasferimenti complicati), l’esigenza di ridurre gli impatti ambientali e di programmare il lavoro soprattutto in cantina.

Tre centraline, un sistema di trasmissione dati in cloud ogni 15 minuti tramite rete GSM sono state le tecnologie che hanno pemesso di risolvere molte cose, compresa la prevenzione delle fitopatie (con la conseguente riduzione dei trattamenti, passati da 12/13 a 10/11, per un risparmio di 700 euro a trattamento) e un modello previsionale della matuazione dell’uva che ha permesso di programarre meglio i lavoro nel periodi di vendemmia (rigorosamente meccanica).

Carlo Maria Bussolati di Rizzi sas ha invece portato la sua testimonianza in un comparto, quello cerealicolo, dove i margini sono rodottissimi e ogni errore gestionale si paga caro. Da qui il suo percorso verso l’agricoltura 4.0 fatto di computer, cloud, telecamere a infrarossi, banche dati per raggiungere una maggiore consapevolezza delle attività svolte: un controllo a posteriori del risultato atteso, l’aumento della produttività, il supporto alle decisioni e la semplificazione del lavoro burocratico. Bussolati conferma le criticità legate all’interoperabilità dei macchinari di costruttori diversi e le compentenze interne tutte da creare.

Paola Aguzzi ha infine presentato l’azienda veronese Finato Martinati che ha l’ambizione di diventare a emissioni zero. L’azienda dispone di 280 ettari, 80 convertiti a biologico (20 ettari di riso bio, poi grano tenero, mais, ma anche cipolle da industria), un impianto per la produzione di biogas di 700 kW (producono internamente tutto quello che occorre al biodigestore, inoltre sono autosufficienti a livello energetico), pannelli fotovoltaici e bovine da latte (200 capi in mungitura).

La spinta a innovare nasce dalla necessità di ripensare l’azienda lasciandosi alle spalle la sua storica vocazione per il tabacco (“coltivarlo costa 12.500 euro ettaro, per un guadagno di 500 euro”). Da qui il passaggio al bilogico. “Non è stato facile perché il tabacco inaridisce i terreni”. Per fortuna avevano il digestato. “Abbiamo portato il controllo dei costi aziendali e dei terreni. La spinta è arrivata dal settore zootecnico. Oggi gli animali sono monitorati attraverso pedometri e ruminometri. Poi c’è un sistema Nir per l’analisi continua della razione: la stalla ha insegnato alla campagna che comportamento occorreva avere in campo per farla rendere“.

Oggi l’azienda controlla costi e ricavi in tempo reale attraverso programmi informatici: “In zootecnia non si devono fare i conti a fine anno, ma giorno per giorno”. E il controllo giornaliero ha permesso di capire “che occoreva una coltivazione di tipo conservativo, con sovesci anche in periodo estivo, altrimenti il terreno diventa sabbia; e poi che ci volevano false semine anche nel covenzionale per risparmiare sul diserbante, e l’impiego di macchine come lo strigliatore per arieggiare i terreni e le colture conveznionali, non solo bio”.

Inoltre un sistema di monitoraggio satellitare tiene sotto controlo lo stress idrico e il fabbisogno di nutrienti delle colture (“Gli appezzamenti sono molto grandi, e non è possibile controllare lo stato delle piante all’interno”); investimenti in corsi di aggiornamento per il personale in campagna (finanziato attraverso i Psr); sistemi di raccolta per il monitoraggio della produzione; investimenti in programmi di gestione e raccolta con relativa elaborazione dei margini.

Quello che chiedo al terzista: voglio che i terreni siano lavorati in base alle analisi, alle necessità localizzate e alle scelte colturali dell’anno successivo. Per avere un prodotto sano per la stalla e uno diverso per il biogas”.

Le criticità maggiori sono la resistenza al cambiamento (“anche da un’impiegata di soli 30 anni”), la formazione degli operatori (“il nuovo modo di lavoro deve entrare nel quotidiano”). Infine ci sono “troppe piattaforme dove reintrodurre gli stessi dati, vorrei un unico programma gestitonale analitico e industriale. E in futuro voglio la mappature dei terreni e robot che lavorino al posto di braccianti”.

Anche questa volta l’Osservatorio Smart AgriFood ha portato degli esempi forti e concreti di come si possa diventare manager di successo in agricoltura.