Agricoltura verticale atomica

Di   16 Settembre 2020

L’Accademia dei Georgofili ospita due interessanti contributi dei professori Pietro Piccarolo e Antonio Ferrante sull’agricoltura in aree urbane

 Serra sui tetti di Montreal, in Canada

Non nascondiamo di guardare con molto interesse all’agricoltura verticale. Probabilmente il futuro è lì. Per questo occorre sempre monitorare gli sviluppi tecnologici e le riflessioni sui sistemi di coltivazione indoor in aree urbane. L’ultimo numero della newsletter dell’Accademia dei Georgofili ospita due contributi sul tema. Il primo di Pietro Piccarolo (Fare agricoltura in aree urbane), il secondo di Antonio Ferrante (Agricoltura verticale e indoor: da utopia a realtà). Il primo è docente all’Università di Torino (Meccanica e Meccanizzazione Agricola) e vice presidente dell’Accademia, il secondo all’Università degli Studi di Milano (Agronomia e sistemi colturali erbacei e ortofloricoli).

La considerazione nuova è che le coltivazioni verticali, urbane, idroponiche sono economicamente sostenibili se alimentate da centrali nucleari.

Lo scrive Ferrante al termine del suo articolo: “In generale, possiamo affermare che il sistema di coltivazione in ambiente interno in verticale o meno può essere sostenibile se si trovano fonti energetiche a basso costo come ad esempio le centrali nucleari. Non a caso molte delle vertical farm sono vicino le centrali nucleari dove, sfruttando anche l’inversione giorno-notte rispetto all’ambiente esterno, rendono il sistema produttivo sostenibile”.

Ma come si arriva a tali conclusioni?

Prima di tutto è necessario distinguere tra l’agricoltura verticale, che ha caratteristiche industriali, e agricoltura urbana con sistemi produttivi molto semplificati a scopo hobbistico e orti urbani.

Questi ultimi hanno origini lontane (basti pensare agli orti di guerra nati durate il secondo conflitto mondiale), nel 2017 occupavano una superficie nazionale di 450 ha, ma abbiamo assistito a un notevole incremento durante i mesi di lockdown. Assegnati in genere dal Comune a un prezzo simbolico, gli orti urbani, oltre produrre frutta e verdura fresca a chilometro zero e a costi contenuti per gli affidatari, assolvono anche altre finalità, come: favorire la socializzazione tra le persone, ridurre la marginalizzazione, creare più attenzione verso l’ambiente e la biodiversità, ridurre il degrado di determinate aree. I metodi di coltivazione sono quelli legati alle tecnologie tradizionali, ispirati però a una gestione sostenibile.

A livello commerciale sono aumentate le richieste di moduli produttivi per l’ambiente interno e micro-impianti idroponici e i relativi accessori. Ma si tratta di una produzione destinata all’utoconsumo e di una attività hobbistica.

Il vertical farming vero e proprio è caratterizzato da sistemi complessi e tecnologicamente avanzati per produzione di ortaggi su larga scala mantenendo il pieno controllo dell’ambiente di coltivazione: i tratta di sistemi di coltivazione idroponici come flusso e riflusso, floating system e l’aeroponici. La produzione in ambiente interno permette di creare dei siti produttivi direttamente all’interno delle città, spesso sfruttando edifici abbandonati o industrie dismesse. Non mancano esempi di coltivazioni nel sottosuolo in tunnel abbandonati o sui tetti di edifici come centri commerciali e ristoranti. Tutti questi sistemi effettivamente permettono di ottenere una filiera di produzione corta, il cosiddetto km 0, ossia produrre vicino ai consumatori.

Ma la coltivazione in ambiente interno si allontana dalle leggi naturali che regolano l’agroecosistema e si avvicina al concetto di agricoltura industriale. È possibile azzerare l’effetto degli stress biotici e abiotici, permettendo di ottenere delle produzioni più elevate e con assenza di fitofarmaci.

Ma avere il pieno controllo della rizosfera, della coltura e dell’ambiente costa perché non sono né pochi né banali i problemi tecnici da affrontare e risolvere.

Occorre mantenere i parametri ambientali interni uniformi come temperatura, umidità relativa e illuminazione in tutta l’area di coltivazione. Occorre studiare la circolazione dell’aria nei moduli per non condizionare la crescita della coltura. Spesso i costi dei materiali e degli impianti sono molti elevati. Inoltre, dal punto di vista agronomico, questi sistemi di coltivazione possono essere utilizzati per ortaggi da foglie con cicli brevi e sviluppo contenuto, mentre non sono particolarmente adatti per ortaggi da frutto che hanno un elevato sviluppo come il pomodoro da mensa, cetriolo, melone, ecc. Poi c’è il problema dell’assenza di insetti che inibisce l’impollinazione, per cui molte colture avranno bisogno di interventi meccanici o uso di arnie. Nei sistemi completamente chiusi, l’illuminazione artificiale è il parametro più importante dal punto di vista agronomico ed economico. Le piante per la crescita e la produzione hanno bisogno di un’adeguata illuminazione che deve essere definita per ogni coltura in termine di intensità e di durata. L’aumento della disponibilità di luce velocizza la crescita e la produzione, ma bisogna giungere a un compromesso per rendere il sistema produttivo economicamente sostenibile.

Nel suo articolo, il prof. Piccarolo porta alcuni esempi di vertical farm.

La Vertical Farm di Dubai

Realizzata in vista di Dubai Expo 2020, tramite una partnership tra una start-up della Silicon Valley ed Emirates Flight Catering, viene considerata come una delle più grandi, se non la più grande, Vertical Farm del mondo. La start-up ha esperienza nel settore e nello sviluppo di specifici algoritmi che calcolano anche le dosi ottimali di fertilizzanti per ogni singola coltura. La Farm attua la coltivazione idroponica, ed è in grado di produrre, senza l’impiego di pesticidi ed erbicidi e con un risparmio idrico del 99% rispetto alla coltivazione in pieno campo, ben 2,7 t di verdure al giorno.

Le In-store Farm

Si tratta di soluzioni di Vertical farming adottate dal settore distributivo, con realizzazioni all’interno di punti vendita (in-store), come centri commerciali, supermercati, ma anche negozi e ristoranti, al fine di offrire prodotti freschi e a chilometro zero ai clienti. Un esempio significativo per le sue dimensioni di In-store Farm (80 m2), è quello realizzato in un supermercato di Parigi da una start-up berlinese, specializzata in questo settore e nel retail, oltre che nell’utilizzo di tecnologie cloud per il monitoraggio e la gestione degli impianti in remoto. Ne consegue che l’In-store Farm del supermercato parigino è monitorato e gestito direttamente da Berlino. La star-up opera con diverse catene distributive e non solo in Francia, ma anche in altri paesi europei.

Lufa Farms

L’azienda agricola Lufa ha costruito quattro serre sui tetti di Montreal nel Quebec (Canada), soddisfando il fabbisogno di verdure fresche per il 2% della popolazione cittadina. L’ultima nata è considerata la più grande serra sul tetto al mondo (1,5 ha). La coltivazione è idroponica e il sistema di irrigazione a circuito chiuso utilizza l’acqua piovana catturata dalla serra. Il razionale inserimento della serra con l’edificio sottostante, consente di fornire vantaggi termici ad entrambe le strutture.

Serra dell’azienda agricola Lufa

Jellyfish Barge

La serra galleggiante Jellyfish Barge (Zattera Medusa) è concepita per essere posta in mare, o in altre acque. È stata sviluppata in Italia dalla start-up Pnt (Proget nature), all’interno di uno Spin-off dell’Università di Firenze, sotto il coordinamento del professor Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Linv). Si tratta di una serra modulare a pianta ottagonale, destinata alla produzione idroponica di ortaggi e altri vegetali, ed autonoma in termini energetici in quanto sfrutta l’energia solare. La base in legno poggia su tamburi vuoti in plastica riciclata posti sotto le otto sezioni del natante. Lungo il perimetro sono alloggiati sette moduli per la dissalazione dell’acqua attraverso un processo di distillazione solare. Questi sono in grado di produrre giornalmente l’acqua dolce necessaria alla coltivazione idroponica. La serra, alta 3,5 metri, ha una struttura in legno e acciaio con rivestimento in polietilene. Il monitoraggio del processo produttivo è automatico e avviene in remoto. La sua conformazione ottagonale consente di abbinare più moduli in modo da realizzare una piattaforma galleggiante delle dimensioni volute collegata a terra da una passerella. L’installazione tipica è costituita da quattro moduli di serra e da un modulo di connessione. Quest’ultimo rappresenta uno spazio comune su cui sviluppare attività ludiche, sportive ed anche attività commerciali, come bar e punti vendita dei prodotti ottenuti dalle serre.

Il primo caseificio galleggiante

Anche nel settore zootecnico si hanno esempi di agricoltura urbana galleggiante. La Floating Farm (Fattoria Galleggiante), realizzata nel porto di Rotterdam, è stata concepita dall’Istituto agroalimentare Courage, dal Movimento nazionale per l’agricoltura urbana e da Peter van Wingerdin della Beladon, una società leader nella costruzione di edifici galleggianti. Si tratta di una vera e propria azienda zootecnica galleggiante sulle acque del porto e collegata a terra con una passerella. È strutturata su tre piani, di cui: il primo occupato da una stalla per una quarantina di vacche da latte; il secondo destinato allo stoccaggio dei mangimi e agli impianti di lavorazione del latte; il terzo riservato al pubblico. La stalla, con pavimento in gomma, è dotata di moderne tecnologie di allevamento. La mungitura è robotizzata e anche i liquami e gli altri liquidi di pulizia sono allontanati da uno “slurry robot”, per essere poi recuperati e rimessi in circolo. Anche l’alimentazione è fatta con sistema automatizzato: i diversi mangimi vengono miscelati e la razione viene poi distribuita con nastro trasportatore. Il mangime è fondamentalmente costituito dall’erba che proviene da un campo da golf e dallo stadio cittadino, dai residui di lavorazione di un birrificio e da altri scarti e residui alimentari. Il latte prodotto viene in parte pastorizzato e trasformato in yogurt direttamente sul posto. L’energia necessaria è prodotta da un impianto fotovoltaico e da turbine eoliche, ed anche l’acqua piovana viene recuperata. Sulla terra ferma, di fronte all’ormeggio, un prato recintato consente agli animali di pascolare. I vitelli, dopo essere stati svezzati, vengono portati sulla terra ferma per essere allevati. Le femmine verranno poi riportate sulla piattaforma in prossimità del primo parto.