Farm to fork e l’altra Europa

Di   11 Novembre 2021

Lo scorso 8 novembre, in un convegno dal titolo “Strategia farm to fork e politica agricola comune nella prossima programmazione Ue 2021-2027”, organizzato dall’ufficio in Italia del Parlamento europeo, il fondatore di eataly Oscar Farinetti ha detto di “sognare” un’Italia 100% biologica. Una splendia idea, ma reggerebbe economicamente e socialmente?

L’invito è sposare la strategia farm to fork non solo perché “la chiede il mercato e la chiedono i cosnumatori”, ma perché “se non si fa ora quello che è necessario per la sostenibilità, anche gli agricoltori ne pagheranno le conseguenze” (Silvia Michelini, direttrice sviluppo rurale della dg agri della commissione europea).

L’europarlamentare Herbert Dorfmann (partito popolare europeo) è Relatore dei regolamenti della riforma della Pac e ha chiesto più prudenza, criticando la troppa attenzione alla sostenibilità ambientale e il poco riguardo alla sostenibilità economica e sociale della impostazione che la Commissione europea da alla politica agricola.

L’approccio farm to fork è impregnato di ideologia. Cosa che va bene a chi chiede alla politica e ai politici una linea dall’alto, autorevole e sicura.

Per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, la nuova Pac determinerà un impatto negativo sulla redditività delle imprese agricole, soprattutto quelle più orientate al mercato. Il presidente di Confagricoltura ha citato alcuni studi sugli effetti del farm to fork che indicano una drastica riduzione della produzione agricola e della redditività delle imprese agricole. La strategia complessiva è depotenziare il settore primario europeo, ha asserito, portando argomentazioni non ideologiche ma basate su studi e analisi.

In un videomessaggio Paolo de Castro, Coordinatore gruppo s&d (democratici di sinistra) in Commissione agricoltura del Parlamento Ue, ha spiegato che la posizione del Parlamento sulla farm to fork punta a far si che non sia sottovalutata la sostenibilità economica e quella sociale. De Castro ha aggiunto che la farm to fork non deve tradursi in un aumento delle importazioni dai paesi terzi.

Roberto Moncalvo, membro della giunta esecutiva di Coldiretti (past president), ha messo in evidenza alcuni punti di forza della farm to fork, come l’indicazione di origine obbligatoria su cui l’italia è stata battistrada o la reciprocità sugli standard per le importazioni, ma anche sottolineato i punti negativi, in particolare il compromesso sull’etichettatura. Ha anche denunciato con forza il tentativo di spostare il modello dalla produzione del cibo nei campi ai cosiddetti cibi sintetici.

Luca Brunelli, presidente Cia Toscana e responsabile nazionale della area politica agricola comune di Cia-agricoltori italiani, ha ribadito che le politiche europee e la farm to fork devono permettere agli agricoltori di restare in azienda con un attività vitale e assicurare il ricambio generazionale. Bisogna rendere gli agricoltori protagonisti e co-decisori delle scelte di cambiamento, a suo giudizio. Quindi anche per lui l’ideologia calata dall’alto non dovrebbe trovare posto in politica, almeno sembra di capire.

Quale conclusione si può trarre? Se il convegno era finalizzato a creare un accordo di base sulla strategia farm to fork, pare che questo non sia stato raggiunto. Sempre che non si trovi una merce di scambio che può essere il ritiro del nutriscore. Ma ne vale la pena?

Forse vale la pena non indreteggiare da quanto lo stesso giorno ha affermato Coldiretti, in occasione della giornata del ringraziamento promossa dalla Cei: “L’agricoltura italiana è leader per la sostenibilità con appena il 7,2% di tutte le emissioni di gas serra prodotte a livello nazionale, contro il 44,7% dell’industria e il 24,5% dei trasporti nel 2020. Un risultato che vede l’agricoltura italiana leader anche a livello europeo con emissioni pari a 30 milioni di tonnellate di co2, la metà della Francia (76 milioni di tonnellate) e largamente sotto i 66 milioni di tonnellate della Germania, i 41 milioni del Regno Unito e i 39 milioni della Spagna”.

“A spingere la svolta green è stata la possibilità di diversificare le attività a livello aziendale, valorizzando i residui e i sottoprodotti di origine agricola, oltre a far fronte a costi crescenti per raggiungere l’autosufficienza energetica. La nuova economia verde vede al centro soprattutto le stalle, con la produzione di letame e liquami indispensabili per fertilizzare i terreni in modo naturale e garantire all’Italia il primato nella produzione di energie rinnovabili come il biogas. L’obiettivo ora è quello di immettere nella rete 6,5 miliardi di metri cubi di gas ‘verde’ da qui al 2030 che, oltre a salvare il clima, rappresenterebbero una soluzione anche contro il caro petrolio e le fluttuazioni dei prezzi dei carburanti. Infatti partendo dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano a livello nazionale per alimentare le flotte del trasporto pubblico come autobus, camion e navi oltre alle stesse auto dei cittadini”.

Gli impianti di biogas in Italia oggi producono 1,7 miliardi di metri cubi di biometano ma è possibile arrivare entro il 2030 a 6,5 miliardi con la trasformazione del 65% dei reflui degli allevamenti.