Il futuro del mais a Fieragricola

Di   3 Marzo 2022

“Con 6,79 milioni di tonnellate di mais prodotte nel 2020-2021, l’Italia ha un tasso di autoapprovvigionamento del mais pari al 55% (nel 2014-2015 era del 71,9%, fonte: Teseo), contro un tasso dell’Unione europea pari all’86,3 per cento.  Sono quindi 6, i milioni di tonnellate di mais che importiamo e il 13% arriva dall’Ucraina. L’anello (troppo stretto) di auto approvvigionamento rischia di farci male”, ha detto Cesare Soldi, presidente dei maiscoltori italiani, il giorno di apertura di Fieragricola nel corso dell’evento organizzato da Uncai “Nuova Pac: sarà addio al mais?“, mentre le quotazioni del  mais crescevano “molto più di quanto la futura Pac riserverà ai maidicoltori”

Il mais e tutti i seminativi saranno, infatti, esclusi dal reddito accoppiato e distributivo. “Stiamo cercando di far modificare l’eco schema 4 che oggi vieta l’uso del diserbo, quando il buon senso vorrebbe che si chieda agli agricoltori delle limitazioni”.
L’incertezza del prezzo non è, inoltre, controbilanciata dai costi, schizzati alle stelle con l’aumento dei prezzi energetici: “servono gas per essiccare il mais, urea, concimi, gasolio…”

Il boom dei prezzi delle materie prime, su tutti cereali (mais passato da 170 a 287 €/tonnellata, grano duro da 280 a 522 €/ton, grano tenero da 186 a 307 €/ton, orzo da 159 a 295 €/ton) e semi oleosi (soia da 357 a 627 €/ton, farina di soia da 320 a 549 €/ton, farina di girasole da 161 a 281 €/ton) stanno mettendo sotto pressione le catene di approvvigionamento a livello mondiale, con la previsione per buona parte del 2022 che i listini si mantengano su livelli alti.

Le previsioni di semina non sono delle migliori. Da qui l’appello di Assalzoo, con Giulio Gavino Usai, responsabile economico dell’associazione di rappresentanza dell’industria mangimistica: “Serve una presa di coscienza generale da parte delle istituzioni e degli operatori e, visto che siamo in prossimità delle semine primaverili, dovremmo seminare almeno 70-80.000 ettari in più di mais per recuperare il prevedibile calo di importazione dall’Ucraina, vista la criticità attuale”.

Fra gennaio e novembre dello scorso anno, secondo i dati elaborati da Teseo.Clal.it, l’Italia ha importato dall’Ucraina circa 733.000 tonnellate di cereali, prevalentemente mais (600.000 tonnellate, pari al 13% degli acquisti internazionali), su un totale di 4,6 milioni di tonnellate di import cerealicolo nazionale, con il rischio oggi che le importazioni dai porti ucraini si blocchino. Di scarso impatto, invece, gli acquisti italiani di soia e semi oleosi dall’Ucraina (circa 72.000 tonnellate nei primi 11 mesi del 2021).
Poco meno di 100.000 tonnellate di mais arrivano in Italia dalla Russia, mentre i principali fornitori sono Ungheria, Ucraina, Slovenia, Croazia, Austria e Romania.

“Il nodo principale riguarda il mais – prosegue Usai – con l’Italia che dovrà cercare altri mercati in un sistema maggiormente concorrenziale e con il rischio che i prezzi si mantengano elevati”. In termini economici, un rischio tanto per l’industria mangimistica che deve acquistare materie prime dall’estero quanto per gli allevatori, che vedono aumentare sensibilmente i costi di produzione alla stalla.
Per il responsabile economico di Assalzoo è necessario da parte dell’Unione europea un cambio di passo. “Alcune varietà di cereali e semi oleosi prodotte negli Stati Uniti non hanno ancora l’autorizzazione all’import da parte di Bruxelles – sottolinea –. Poi abbiamo una questione legata al tasso di autoapprovvigionamento e su questo l’Unione europea dovremmo incrementare le rese in campo e aumentare le superfici e le produzioni”.

“La nuova Pac con gli eco schemi sembra premiare le leguminose e l’erba medica” – ha detto Riccardo Severi, vice presidente e direttore Aife, l’associzzione italiana foraggi essicati – L’agricoltura non dovrebbe tovarsi però nella condizione di mettere una coltura contro un’altra. Non ci deve essere conflitto fra colture.”

Le soluzioni ci sono, se si vuole. “Il piano maidicolo, con i contratti di filiera, funzionava. Dei 600 mila ettari coltivati a mais in Italia, 100mila sono legati a contratti di filiera con impegni triennali, un contributo, una premialità per sottoscrittori di. 74 euro/ettaro”, ha aggiunto Cesare Soldi. “Chiediamo di aumentare la dotazione finanziaria, nel 2020 era di 8 milioni mentre oggi è ferma ancora a 6 per il 2022 e 2023” .

Non esiste un’alternativa al mais in stalla, dove contribuisce per oltre il 50% alla razione. L’addio è una soluzione impossibile.  “L’altra alternativa è importazione dall’estero”, una soluzione che rappresenterebbe però una sconfitta e un rischio, vista la crisi ucraina che coinvolge i paesi che maggiormente contribuiscono agli stock mondiali del cereale.

Un’altra strada sono i crediti di carbonio: “il mais è coltura che sequestra più gas serra, solo per questo dovrebbe essere valorizzata negli eco schemi, non messa in difficoltà. Inoltre le nuove tecniche genetiche (editing e cisgenesi) permettono la selezione di materiale resistente a stress e ad alcune malattie. Numerose soluzioni sono studiate e provate in campo all’estero. In Italia la ricerca resta spesso nei laboratori”

Insomma, dobbiamo provare a restare al mais, le strade ci sono, ma occorre percorrerle. Senza aspettare le disgrazie altrui per vedere valorizzato il nostro prodotto. Cosa non tanto capita neppure con il covid.

Il talk show sulla Pac è online su
www.agrilinea.tv/video/665/

In onda su:

 CANALE 86 – Venerdì 4 marzo alle ore 21.00

 CANALE 74 – Sabato 5 marzo alle ore 18.00

 CANALE 14 – Domenica 6 marzo alle ore 21.00