All’inizio il mais, in campo e in tv

Di   8 Ottobre 2020

Ricerca, meccanizzazione e mercato, i temi trattati dal talk show Agrilinea TV dedicato alla lunga filiera maidicola andato in scena a Sant’Angelo Lodigiano. La trasmissione, online su www.agrilinea.tv, sarà trasmessa in televisione da venerdì 9 ottobre a martedì 13

Sauro Angelini, direttore di Agrilinea TV

Un anno fa il talk show di AgrilineaTV dedicato al mais si era svolto in un agriturismo lodigiano. Pubblico e relatori erano seduti a tavola con forchetta e coltello in mano, mentre il conduttore, Sauro Angelini, si aggirava tra loro con il microfono in mano. Uno spasso.

Questa è la programmazione televisiva:

  • CANALE 86 – Venerdì 9 ottobre alle ore 21.00
  • CANALE 74 – Sabato 10 ottobre alle ore 18.00
  • CANALE 14 – Sabato 10 ottobre alle ore 18.00
  • CANALE 14 – Domenica 11 ottobre alle ore 21.00
  • CANALE 11 – Martedì 13 ottobre alle ore 22.30

Il mondo è cambiato e quest’anno non è stato possibile riproporre quella formula. Distanziamento e mascherine non vanno d’accordo con risotti, salumi, tortelli e arrosti. Ma il mais è cresciuto, molto bene quest’anno, ed è stato raccolto. Ed è la più importante coltivazione della pianura padana, alla base dell’alimentazione di bovini e suini. Quindi la redazione di Agrilinea ha contattato i principali attori delle filiere lunghe e complesse che hanno bisogno del mais per alimentarsi. Li ha invitati a prendere parte al talk show e quasi tutti hanno accettato (la curva dei contagi sale). Il 29 settembre la troupe è partita, sempre per il lodigiano, terra vocata al mais. Loro meta non un agriturismo, ma il Castello di Sant’Angelo Lodigiano dove hanno allestito la sala di rappresentanza con telecamere, riflettori, microfoni, bracci telescopici, dolly, router e mixer. Distanziamento sociale ma di classe.

Un parterre da leccarsi le dita (se si può ancora). Alla trasmissione (registrata il 29 settembre) c’erano Cesare Soldi, presidente AMI-Associazione Maiscoltori Italiani; Alessandro Rota, presidente della Coldiretti di Milano, Lodi e Monza-Brianza; Antonio Boselli, presidente di Confagicoltura Lombardia; Aproniano Tassinari, presidente di UNCAI; Giuliano Oldani, presidente di Uncai Milano-Lodi-Como-Varese; Carlotta Balconi, direttrice CREA-MAC-Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo; Daniele Govi, Servizio Organizzazioni di mercato e sinergie di filiera Regione Emilia-Romagna; Cristiano Spadoni, business strategy manager Image Line Srl; Augusto Verlicchi, esperto cereali; Amedeo Reyneri, Università di Torino; Giulio Gavino Usai, responsabile economico Assalzoo; Marco Miserocchi, Country Manager Agriculture TopCon Agriculture; Alessandro Mianzan e Fabio Garavelli di Fendt; Tommaso Maggiore, Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Università di Milano; Sabrina Locatelli, CREA-MAC-Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo; Fabio Perini, Vice presidente FedAgriPesca Confcooperative; Matteo Ruggeri, Horta Srl.

Il la alla discussione è stato dato dal prof. Reyneri (solo lui collegato da remoto). Ha agganciato il destino del mais al green deal europeo e alla “quasi” strategia Farm2Fork (dal produttore al consumatore): “Il taglio di fitosanitari (-50%) e di concime (-25%) sono proposte da rendere più concrete”. Tutti d’accordo in sala. “Oggi il mais, soprattutto in Italia, è una coltura virtuosa e tagli così drastici non sono giustificati. Ci si augura che il meno 50% e il meno 25% non siano tagli lineari per ogni coltivazione in campo, ma lo siano meno per il mais”.

Il prof Reyneri collegato da remoto

Il mais, infatti, fa un uso mirato, si potrebbe dire essenziale, dei fitofarmaci per diserbi e trattamenti della piralide. Tutta un’altra storia rispetto a viticoltura e ortofrutta, rispetto a queste il mais risulta addirittura virtuosa. Le cose però cambiano con i fertilizzanti. “Ma non è la quantità assoluta di fertilizzanti (in primis l’azoto) che conta, ma il rapporto tra concime e massa raccolta. Anche in questo caso il mais è virtuoso, dal momento che, dopo la canna da zucchero, il livello produttivo del mais è il maggiore in assoluto”. Sarà dura, però, far arrivare questo messaggio all’opinione pubblica (e al mondo politico).

Inoltre, ha ricordato il presidente locale di Confagricoltura Alessandro Rota, il mais “è una cultura che assorbe anche 2,4 t/ha di CO2, il doppio di qualsiasi altra coltura, quindi è in grado di cambiare in meglio l’ambiente”.

Cesare Soldi

La filosofia che ha ispirato la “quasi” strategia Farm2 Fork, ha detto il cremonese Cesare Soldi, è che il consumatore non deve essere ingannato. Il senso della serata sta qui. “E gran parte della riduzione di fitofarmaci chiesta è già stata fatta. Ora occorre guardare in un’altra direzione, vale a dire il miglioramento genetico, il livello di meccanizzazione, il biocontrollo delle aflatossine.”

I rischio, è stato sottolineato in sala, è che la “quasi” strategia F2F (Farm to fork) sia il cavallo di Troia per fare entrare in modo sempre più cospicuo le produzioni cerealicole brasiliane e ucraine, realizzate seguendo normative molto distanti da quelle europee, che consentono l’uso (e abuso) di sostanze chimiche bandite da anni in Europa: “La Ue importa il 25% di m mais, l’Italia addirittura il 50%. Le regole ambientali non devono affossare la produzione”.

Per questo la politica italiana deve smettere di decidere di non decidere per non urtare l’opinione pubblica e certi settori politici che trovano la loro ragione di esistere nel catastrofismo: “occorre fare ricerca, aprire alle sperimentazioni in campo aperto di varietà di mais prodotto con i nuovi sistemi di manipolazione genetica (new breeding technique)”.

Il prof. Maggiore non usa la diplomazia: “Dietro la “quasi” strategia Farm2Fork potrebbe nascondersi un inganno contro il mais italiano che andrebbe ad aggravare la situazione demenziale generata da quella classe politica che 30 anni fa, rifiutando il mais ogm (studiatissimo, sicuro e coltvato su 200 milioni di ettari nel mondo), ha condannato l’Italia a produzioni di mais ridicole rispetto agli altri paesi e agli attacchi della piralide. Il problema è che da 40 anni non esiste in Italia una vera politica agraria. E neppure c’è in Europa. E senza una politica agraria non è stata fatta l’innovazione quando occorreva farla, le rese sono ferme e siamo costretti a importare il 50% di mais dall’estero”. A questo punto Sauro Angelini gli ha chiesto di fermarsi.

IL MERCATO

Si è detto che la filiera del mais è lunga. Dal campo si passa allo stoccatore, al mangimista, all’allevatore fino al trasformatore, al formaggio o al salume. Bisogna dare atto di una grande novità di F2F, cioè la possibilità di abbracciare tutto il viaggio del mais in una unica filiera verde che deve arrivare integra fino al cittadino. In questa direzione deve muoversi gli accordi di fikiera siglati lo scorso maggio da Assalzoo: cercare di ristabilire il livello di auto approvvigionamento del mais, passando da prodotto d’uso a prodotto di consumo.

Allo stesso modo possono essere incoraggiati i contratti diretti tra agricoltori: senza trasferire il prodotto al mangimista, la sostanza secca può essere messa nel silo aziendale di un allevatore confinante (“una banca del mais” ha detto Maggiore) e usata direttamente nel corso dell’anno. Ma occorre sempre qualcuno che anticipi i soldi.

Ma parlare di mercato significa parlare prima di tutto di prezzo, resa e qualità. La qualità di quest’anno è molto buona e a livello sanitario non ci sono stati grossi problemi (insomma, la quota che andrà direttamente al biogas e non in stalla è ridotta), la resa è altrettanto buona (in Italia è già molto arrivare a 100 q/ha, quest’anno si è di poco superata questa soglia, comunque siamo distanti dai 130 che può fare un mais ogm). Restano incognite invece sul tema dei prezzi: la quotazione attuale è di 167,5 €/t, in calo del 3,5% rispetto al 2018, quando era 173 €/t, e inferiore anche al 2019, quando era 169 €/t. È qui che è necessario intervenire. Questo significa che oggi i maidicoltori lavorano sottocosto: il prezzo giusto non dovrebbe scendere sotto i 178 €/t.

Intervenire si può e le strade (entrambe da percorrere con uguale determinazione) sono ricerca e meccanizzazione. Ma anche su certe distorsioni del mercato, che in seguito vederemo.

MECCANIZZAZIONE

A rappresentare la meccanizzazione c’erano Alessandro Mianzan e Fabio Garavelli di Agco/Fendt, Marco Miserocchi di Topcon. Naturalmente Aproniano Tassinari e Giuliano Oldani di UNCAI e Cristiano Spadoni per la tecnologia Internet of Things che può supportare agricoltori e contoterzisti in campo.

Se, infatti,è fuori discussione che mezzi agricoli come le trebbie Ideal di Fendt permettono di raggiungere output produttivi importanti e una elevata qualità della granella, è altrettanto necessario che i vari sistemi messi in campo, ha spiegato Cristiano Spadoni, si parlino fra loro: “L’interconnessione tra le macchine è ciò che permette la raccolta di informazioni sui prodotti e sui sistemi di produzione. Dati che possono essere messi a disposizione della filiera, rendendola ancora più forte e certificata”.

Per questo servono piattaforme in grado di aggregare informazioni agronomiche (come il Quaderno di campagna di Image Line) oppure agromeccaniche (come CT Smart24 di realizzato da alcuni contoterzisti, tra i quali Giuliano Oldani, presente all’incontro).

Informazioni che devono essere prima raccolte con l’ausilio di guide satellitari, sensori e altri strumenti che prima di entrare nell’armamentario dell’agricoltura digitale, fanno parte della cassetta degli attrezzi dell’agricoltura di precisione di cui Topcon è leader: “La tecnologia è una delle strategie per ridurre i costi, proteggere il prodotto e ridurre l’impatto ambientale”, ha ricordato Marco Miserocchi di Topcon, Per questo la tecnologia è strategica per il raggiungimento degli obiettivi fissati della “quasi” strategia Farm to fork. “Oggi la defiscalizzazione degli investimenti in agricoltura 4.0 sta favorendo l’orientamento degli imprenditori agricoli e dei contoterzisti verso macchine evolute e intelligenti in grado di valorizzare e di tracciare il prodotto”.

“Gli euro investiti, però, rischiano d non scaricarsi a terra se non sono accompagnati da una formazione digitale”, ha incalzato il presidente Uncai Aproniano Tassinari. Da qui la centralità del contoterzismo, ma anche di reintrodurre lo studio della meccanica agricola negli istituti di agraria. In Italia si costruiscono macchine agricole eccezionali, ma chi le usa? A chi le diamo in mano?”

LA RICERCA

Perla ricerca sono invece intervenuti Carlotta Balconi (direttrice CREA-MAC-Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo) che ha presentato un progetto triennale di Fondazione Cariplo per la valorizzazione dello scarto della filiera delle chips (in pratica le bucce di patate) per estrarre prodotti bio attivi che possono proteggere mais e frumento. Sabrina Locatelli (CREA-MAC-Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo) ha invece presentato il suo lavoro di monitoraggio delle micotossine nel mais.

Le strade della ricerca sono molteplici e “devono essere portate direttamente in azienda”, è intervenuto Fabio Perini di FedAgriPesca, sostenitore del mais italiano, una vera specialities, non na commodities.

Il discorso sulla ricerca si ferma però qui, almeno finché resiste l’opposizione agli ogm (che siano i testatissimi ogm transgenici oppure i nuovi ogm ottenuti con le nuove tecniche di editing). Le rese resteranno ferme a 100 q/ha con un 20% in meno rispetto a chi riconosce che non vi sia sostanziale differenza tra un organismo geneticamente modificato dall’uomo in pochi passaggi in laboratorio o dalla natura in molte generazioni.

“In ogni caso, mancano oggi delle imparziali prove in campo delle varietà di mais in commercio, affinché l’agricoltore possa decidere cosa sia meglio seminare nel proprio areale, senza condizionamenti da parte delle ditte sementiere”, ha detto il prof. Maggiore ricordando cosa accadde quando, nel 1976 organizzò la prima giornata del mais a Bergamo con prove di adattamento e resa: “Allora alcuni ibridi di marca furono smascherati”.

VERSO UNA SINTESI

“La filiera nasce dall’individuazione dei bisogni del mercato,”, ha detto Augusto Verlicchi. Da qui parte la ricerca e la produzione. Peccato che la “quasi” strategia F2F non sviluppi una parte agricola coerente con la domanda di maggiore sostenibilità dei consumatori, preferendo proclami che fanno apparire l’agricoltura europea, e soprattutto quella italiana, arretrata quando è una delle più sicure e normate da un punto di vista ambientale. Da questo punto di vista siamo di fronte a una fake news istituzionale. “L’Italia importa già 6 milioni di tonnellate di mais all’anno (il 50% del fabbisogno). Con meno concimi e fitofarmaci ne importerà ancora di più, Da dove? Da paesi che ne fanno uso in grande abbondanza. Occorre raccontare con fermezza la verità. L’Italia è al 15% di produzione biologica, l’Europa è ferma al 7. è quindi del tutto evidente che l’obiettivo di arrivare al 50% solo uno slogan che l’Italia deve rigettare”.

E ancora: occorre rendere visibile la filiera del mais. Ma per fare questo deve diventare più efficiente, valorizzare il prodotto e rimettere al centro la produzione. “Le nuove tecnologie – ha detto in chiusura Reyneri – sono fondamentali per garantire efficienza e con essa sostenibilità economica e ambientale. Una seconda parola chiave per la filiera del mais è ‘valorizzazione’ perché l’efficienza deve essere tradotta in valorizzazione del prodotto in termini quantitativi. Da qui una terza parola, ‘produzione’. Una parola mai citata dai mass media italiani”. Quasi dimenticata o rimossa, ma che può contribuire a rendere compatto un mondo agricolo oggi ancora troppo frammentato e inascoltato, costretto, insieme alla ricerca, a rincorrere finanziamenti non sostenuti e giustificati da una visione italiana dell’agricoltura. La maidicoltura italiana sembra condannata a inseguire, con il divieto di superare.