Inesatezze nel disegno di legge sulle colture fuori suolo

Di   8 Gennaio 2020

Non mancano affermazioni fuori luogo nel disegno di legge che, giustamente, cerca di regolare e incentivare idroponica e acquaponica. Le osservzioni del Crea e degli agronomi per correggere il tiro

Di sicuro è un disegno nato di fretta, senza aver sentito gli esperti del settore. Troppi, infatti, gli slanci utopistici e le affermazioni “fuori luogo” attorno alle colture fuori suolo nel testo che porta la firma dei deputati Cillis, Cadeddu, Cassese, Cimino, Daga, Del Sesto, Gagnarli, Gallinella, L’Abbate, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Maraia, Parentela, Pignatone e Romaniello.

La proposta di legge 1258 ha comunque una sua importanza, ponendosi come prima disciplina normativa per le colture fuori suolo. Presentata alla Camera dei Deputati nell’ottobre 2018, procede lenta il suo iter nelle commissioni agricoltura.

Il Crea e gli agronomi sono di recente intervenuti con alcune puntualzzazioni che vale a pena conoscere.

CREA: ISTITUIRE TAVOLO TECNICO PER LAVORARE SU PROPOSTA DI LEGGE

“Siamo rimasti sorpresi da questa proposta di legge, perché quello fuori suolo è una produzione di nicchia rispetto al panorama agricolo” il commento del Crea in Commissione agricoltura alla Camera.

“Andiamo verso un’agricoltura che da una parte deve privilegiare i virtuosismi della produzione in suolo e delle sue eccellenze, e dall’altra si chiedono produzioni intensive per raggiungere determinati obiettivi, come appunto la coltivazione acquaponica” aggiunge.

“L’attività agricola, in suolo o fuori suolo, deve essere fatta seguendo dettami scientifici e di buon senso per poter produrre in modo sostenibile, ed a questo riguardo le coltivazioni fuori suolo permettono di controllare in modo ancora più rigoroso e preciso alcuni parametri rispetto l’agricoltura in suolo” si sottolinea.

“Abbiamo poi riscontrato alcune imprecisioni nel testo, vogliamo dunque precisare che la fertirrigazione non è una tecnica della coltivazione fuori suolo, ma proprio il contrario, applicata cioè direttamente nel suolo. Non è poi del tutto vero che la coltivazione in coltura protetta si può fare senza fitofarmaci e insetticidi” prosegue il Crea.

“Non si capisce inoltre se la proposta di legge e indirizzata all’idroponica o all’acquaponica, perché son due cose fondamentalmente diverse e che richiedono ambienti diversi. Chiarezza andrebbe perciò fatta su che cosa è effettivamente la coltivazione idroponica. La proposta di legge dovrebbe confrontarsi maggiormente sui fini rispetto ai mezzi su come raggiungere e promuovere questi tipi di coltivazione” dichiara il Crea.

“Molti interrogativi rimangono sulla coltivazione acquaponica, più indietro a livello scientifico rispetto l’idroponica, come quelli in merito l’utilizzo degli antibiotici per i pesci e il loro accumulo negli ortaggi. Infine in merito alla proposta di legge la cosa migliore sarebbe di lavorare attorno un tavolo tecnico” conclude il Crea.

Anche gli agronomi chiedono modifiche al disegno di legge

L’agronomo Marco Del Grosso, vicepresidente dell’Ordine di Salerno e rappresentante del CONAF, il Consiglio dell’Ordine Nazionale degli Agronomi e dei Forestali, ha proposto alcune modifiche al testo di legge delega al governo.

“È fondamentale che la norma preveda il ciclo chiuso per le colture idroponiche. Ciò perché un fuori suolo che sia rispettoso dell’ambiente deve escludere la possibilità che l’acqua piena di nitrati che si dà alle piante poste nel substrato possa finire nelle falde ma debba essere recuperata, come oggi si fa in Olanda, trattata, filtrata e reimmessa nel ciclo produttivo. La norma in questione, in sostanza dovrebbe escludere il ciclo aperto”.

Del Grosso ha fatto un distinguo tra substrati naturali come quelli a base di fibra di cocco, molto usati in Sicilia, che dopo i circa tre anni canonici di utilizzo possono essere tranquillamente rilasciati sul terreno perché biodegradabili. Altra cosa sono i substrati in lana di roccia, molto usati nelle serre olandesi. “In questo caso – ha detto Del Grosso -, si tratta di materiale che deve essere smaltito come rifiuto speciale”.

Traballa l’ipotesi, prevista nel disegno di legge, di potere utilizzare capannoni dismessi per evitare consumo di suolo nella creazione di impianti nuovi. Ciò perché le colture hanno bisogno di luce e l’illuminazione di un capannone ai fini della coltivazione di piante avrebbe un costo eccessivo se si pensa che produrre – ad esempio – basilico in vertical farming con illuminazione LED ha un costo per ettaro che può arrivare ai 300mila euro.

“Un’operazione del genere potrebbe essere sostenibile solo per coltivazioni ad alto valore aggiunto – afferma Del Grosso – come, ad esempio, le microgreen (micro-ortaggi, sono le piantine giovani e tenere di numerose specie di ortaggi, erbe aromatiche e piante spontanee, che si raccolgono dopo soli 7- 20 giorni dalla semina, non appena hanno sviluppato le due foglioline cotiledonari, ovvero le prime foglie vere). Per questo genere di prodotti gli chef sono disposti a pagare anche 10 euro per ogni vaschetta pur di avere verdure fresche appena colte in cucina. Ma non è economicamente sostenibile per le colture di massa come ad esempio il pomodoro”.

Niet degli agronomi, infine, sulla possibilità che l’allevamento di pesci in coltura acquaponica (che prevede cioè che gli animali vengano nutriti con gli scarti vegetali della coltivazione delle piante sospese nella stessa soluzione liquida) possa essere equiparata al biologico. “C’è innanzitutto un regolamento europeo che lo proibisce – ha precisato Del Grosso nel corso dell’audizione -, non si può coltivare fuori suolo e fare bio. Sono due concetti in antitesi a meno che non si separino le due cose”. Fuori suolo, infatti, non significa automaticamente residuo zero perché pur eliminando i trattamenti legati alla sterilizzazione del suolo, servono sempre fitofarmaci per proteggere le piante dagli attacchi, ad esempio, dei parassiti e di altiri patogeni che possono aggredire le colture.

Fonti: Agricolae e FreshCut