Lasciamo spruzzare i droni

Di   16 Luglio 2020

L’utilizzo dei droni come strumento per ridurre l’utilizzo di fitofarmaci in campo e raggiungere gli obiettivi prefissati dalla strategia Farm to Fork è vietato dalla direttiva sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi. Eppure le evidenze sin qui raccolte in Europa e nel mondo, così come un Rapporto della Commissione europea del 2018 suggeriscono che sia ora di prendere una decisione e farli finalmente decollare armati di chimica per sfruttarne tutto il loro potenziale economico e ambientale.

Drone specializzato nella lotta alla piralide di Remagni Buoli

La direttiva pesticidi è superata. Grazie ai droni sono ora possibili irrorazioni di precisione, e gli obiettivi della strategia Farm to Fork (dalla fattoria alla forchetta, cioè dal produttore al consumatore) possono essere raggiunti senza demonizzare la chimica, ma impiegandola in dosi sostenibili, solo dove serve.

Tra i servizi agromeccanici di precisione si è infatti aggiunte alcune lavorazioni eseguite attraverso i droni, in modo particolare per la lotta integrata (quindi sostenibile per l’ambiente) alla piralide del mais. Ma le potenzialità dell’elicotterino si spingono oltre il rilascio di capsule contenenti l’antagonista naturale a un insetto dannoso per il mais, oltre il trattamento bio contro le zanzare messo in atto dal Comune di Rovigo, oltre l’impiego di nicchia per l’impollinazione di oliveti e noceti, ed è tempo che la Commissione europea ne prenda atto.

“La strategia Farm to Fork prevede di ridurre del 50% l’uso di tutti i pesticidi chimici entro il 2030. Su una affermazione del genere pesa l’approccio ideologico di chi è abituato a pensare nuove regole comodamente seduto in salotto, senza dare soluzioni a chi lavora nei campi”, interviene sull’argomento Rossano Remagni Buoli, vice presidente dei Contoterzisti Uncai di Cremona

Affermare che è necessario ridurre del 50% i pesticidi e il rischio che ne deriva è bello e strappa applausi e consenso, ma in pratica come si fa? “Lasciare le cose come stanno significa accettare che le produzioni calino del 30% con buona pace dell’altra affermazione ideologica di voler ‘produrre di più con meno’ e radendo subito ogni obiettivo di sovranità alimentare europea emerso drammaticamente con il covid-19. I fautori del diserbo meccanico non hanno neppure troppo chiari i costi di tali interventi che inciderebbero inevitabilmente sul pezzo finale dei prodotti. Solo per fare due conti, una sarchiatrice molto basica costa 7 mila euro, ma se si punta al top con guida automatica satellitare arriva a costare 30 mila euro. Il trattamento meccanico, poi, può richiedere tre passaggi, ogni passaggio costa 55 euro l’ettaro e rischia di danneggiare la coltura”, aggiunge Rossano.

Se l’uso dei droni è ormai sempre più consolidato nella lotta alla piralide con la ditta di Remagni Buoli impegnata nei giorni scorsi a ripulire dal dannoso imenottero 1000 ettari di mais nel bolognese insieme ad altre tre squadre (operazione conclusa in 5 giorni), le sue potenzialità non sono ancora sfruttate, ed è un peccato.

Una soluzione promettente include, infatti, l’uso di droni per l’applicazione mirata di pesticidi. La tecnologia non è neppure da sperimentare, perché ad alcune condizioni è permessa già da diversi anni in Europa, per esempio nelle aree in forte pendenza dove l’uso delle tecnologie convenzionali è difficile se non impossibile. I risultati raccolti suggeriscono che i droni potrebbero fornire agli agricoltori uno strumento adeguato per ridurre ulteriormente gli input e aumentare la sicurezza, sia per l’ambiente sia per gli operatori, in linea con le priorità del Green Deal.

Remagni Buoli da anni impiega i droni nella lotta alla piralide del mais e del ragnetto rosso del pomodoro e assicura che “con la gusta formazione, un pilota è in grado di far volare un drone anche a meno di un metro dal suolo, e programmare le missioni affinché il rilascio del diserbante avvenga solo dove è necessario. Le eliche, infine, non creano turbolenze tali da rendere poco preciso lo spruzzo del prodotto. Praticare un’applicazione aerea precisa dei pesticidi con i droni molto probabilmente consentirebbe una riduzione dei prodotti fitosanitari”, ha detto.

D’altra parte nel 2018 la Commissione europea ha già commissionato un rapporto dove si evidenzia che la capacità dei droni di regolare facilmente le loro altitudini e percorsi di volo in base alla topografia e alla geografia circostante li renderebbe adatti per l’irrorazione delle colture.

“Non solo, nel rapporto è scritto che l’irrorazione delle colture da parte dei droni potrebbe essere fino a cinque volte più veloce rispetto ai normali macchinari”, aggiunge Rossano

L’attuale regolamentazione non permette tuttavia di esplorare al massimo le capacità dei droni. La direttiva pesticidi (2009/128) definisce, infatti, il quadro giuridico per testare l’applicazione di questa tecnologia. Sebbene le disposizioni non menzionino specificamente l’uso di droni per l’applicazione di pesticidi, l’articolo 9 vieta l’applicazione di prodotti chimici mediante irrorazione aerea a meno che non sia concessa una deroga in circostanze particolari. In pratica, ciò significa che nessuna forma di irrorazione aerea, presidiata o meno, è consentita. Tuttavia, riconosce che è possibile una deroga al divieto, sempre che non esistano alternative praticabili all’irrorazione aerea oppure “deve presentare evidenti vantaggi in termini di impatto ridotto sulla salute umana e sull’ambiente rispetto all’applicazione di pesticidi da terra”.

Intanto i droni spruzzano in Francia

La Francia sta sperimentando i droni come mezzo per spruzzare pesticidi. L’obiettivo è autorizzarli entro il 2021 qualora fosse dimostrato che i loro trattamenti sono precisi e consentono la riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari. Ma i test sono pochi perché le autorizzazioni possono essere concesse solo a condizioni molto rigide.

La burocrazia europea sembra, così, l’altro grande nemico di una tecnologia che si sta affermando in Cina, Canada e Stati Uniti; tecnologia che sarebbe di grande aiuto all’agricoltura e all’industria (in Italia non mancano costruttori di droni per ogni uso). Ma la Commissione è sempre alla ricerca di prove più prove di quelle già eseguite. Le ragioni della politica sono sempre infinite, come i suoi tempi.