Le Accademie fanno forte l’agricoltura

Di   20 Giugno 2018
Giorgio Cantelli Forti - credits Mkey

Giorgio Cantelli Forti – credits Mkey

La proposta lanciata dal presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura Giorgio Cantelli Forti sul numero di maggio di Mondo agricolo: “Scriviamo insieme un Decalogo del contoterzista per far ragionare il consumatore sui concetti di made in Italy, qualità, sicurezza e rispetto dell’ambiente”.

“Molto più di un appoggio per i piedi, ma vita che genera vita. Il suolo deve ancora vedere riconosciuti e tutelati i propri diritti, per ora si dovrà accontentare di un nome con un significato corretto. Piano piano” (Fonte: Istituto dell’enciclopedia Treccani). Lo scorso 11 aprile, nella sua relazione per il 211° Anno Accademico, il presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura Giorgio Cantelli Forti ha insistito sulla centralità dell’agricoltura per l’educazione e la gestione del suolo. Ne è uscito un quadro critico dell’assetto dell’agricoltura italiana, sebbene questo fosse stato preso a modello in occasione di Expo 2015. Parole quindi che non piaceranno a tutti.

Mi dica qualcosa di scomodo per chi ha in mano le sorti dell’agricoltura italiana.

È sufficiente ricordargli alcune verità. La prima è che in Italia l’agricoltura ha purtroppo perso valore politico, nel senso nobile della parola, per essere sfruttata da quei settori che vi gravitano attorno come la grande distribuzione, la trasformazione e le colture alternative. Se i supermercati dettano le regole e la regola principale è che i prodotti devono avere “prezzi cinesi”, tanto vale acquistare i pomodori dalla Cina.

Manca dunque una difesa politica del settore primario?

Sì, e la paghiamo anche in salute. E qui si inserisce una seconda verità scomoda, la debolezza dell’agricoltura italiana è anche il risultato della difficoltà degli organismi sindacali a fare fronte comune quando è in gioco lo sviluppo e il sostegno dell’agricoltura. Almeno con Agrinsieme e Confagricoltura c’è questa volontà.

Durante l’inaugurazione del 211° anno accademico dell’Accademia Nazionale di Agricoltura ha parlato soprattutto del suolo.

Ed ecco la terza verità che preferiamo non vedere. Il suolo è sfuggito all’agricoltore per entrare negli uffici dei geometri comunali. In passato l’agricoltore progettava il suolo, lo strappava alla natura selvaggia ma i suoi artefatti erano comunque ricchi di biodiversità, erano in equilibrio con l’ecosistema, produttivi e belli. Durante l’inaugurazione dell’anno accademico ho proiettato alcune diapositive provocatorie, da una parte quanto l’agricoltura di buono è in grado di costruire, dall’altra il brutto urbanesimo dei capannoni abbandonati e non solo.

Cosa è successo al suolo italiano?

Si è scelto di trattare il suolo come una entità a metà strada tra città e campagna. Nel dopoguerra i concetti squisitamente agrari, come le bonifiche, sono stati rifiutati perché ritenuti legati al regime fascista. Si sono dimenticate le bonifiche dell’antichità e quelle del sei-settecento. La progettazione del suolo è così diventata materia comunale, con piani regolatori e parcelle di terreno a uso abitativo, artigianale e industriale. Ma i servizi di urbanizzazione come possono rispettare un suolo e la sua fertilità? Che agricoltura si può fare in una campagna urbanizzata? Ogni giravolta che il trattore è costretto a fare per evitare un palo della luce o un tubo del gas, una villetta o un capannone in aperta campagna è una perdita di resa e di qualità di prodotto agricolo. La frammentazione crea costi inutili, dispersioni enormi di lavoro e tante piccole aziende agricole che non crescono mai. Guardiamo la Francia e la Germania, la gente vive in paese e poi si sposta in campagna per andare a lavorare.

E così gli agricoltori si sono fatti scippare la progettazione del terreno.

Abbiamo le nostre responsabilità. Spesso anche noi agricoltori abbiamo puntato sulla speculazione edilizia pur di guadagnare qualcosa di extra agricolo.

Si può quindi affermare che la perdita di centralità della politica agraria in Italia, la mancanza una unità sindacale e il suolo lasciato alla mercé dei geometri comunali si ripercuotano sui costi delle aziende e del Paese?

Si, occorre recuperare la strada maestra, sentire i valori del proprio lavoro e della propria missione e soprattutto porsi degli obiettivi strategici, etici, nell’interesse dell’Italia. In caso contrario tanto vale, ripeto, prendere il pomodoro cinese.

Tra i tanti possibili obiettivi (difesa del suolo, alimentazione sana, maggiore produzione…) da quale si dovrebbe partire?

In questi anni l’Accademia ha insistito molto sul binomio alimentazione e salute. Questo deve essere il filone dominate. Si tratta del viaggio ideale che ci deve tenere uniti. Produrre con qualità e sicurezza si traduce in salute e risparmio. Un grande tema come l’alimentazione e la salute ha, inoltre, il potere di ampliare gli attori coinvolti, permette di fare massa critica, di ridare valore politico al mondo agricolo e di riconvertire i suoli dopo gli scempi fatti.

Credits mkey

Cosa manca all’agricoltura italiana?

Occorre che l’agricoltura creda di più nella comunicazione, nella necessità di farsi conoscere per quella che realmente è. L’agricoltura deve interagire direttamente con la gente, senza concedere spazio a oscuri siti internet ricettacolo di mode, speculazioni ideologiche e sciocchezze.

Come fare?

Faccio uno spot. Bisogna passare dalle Accademie di Agricoltura. Ciò che gli accademici hanno appreso nel corso della loro vita deve essere messo a disposizione in un contesto più ampio e divulgativo. Le Accademie sono la piattaforma trasversale e pluridisciplinare da dove partire. Per questo l’Accademia Nazionale di Agricoltura è diventata una fondazione, un soggetto di interesse pubblico indipendente che accoglie le sfide della società contemporanea e mette in atto un processo di trasferimento di conoscenze basate sui fatti e non su posizioni assolute o ideologiche. Se le Accademie si uniranno, potranno creare loro quella massa critica che non è certo sindacale, ma almeno di opinione.

A questo punto mi dica anche qualcosa di scomodo per i contoterzisti.

Non ho nulla di scomodo da dire sul contoterzismo. Poche aziende agricole raggiungono l’equilibrio necessario a svolgere tutti i lavori in proprio. Vedo il contoterzista come un bene servizio per l’agricoltura che dovrebbe essere integrato in una etica e in una visione di insieme dell’agricoltura. L’ideale è favorire la nascita di società tra contoterzisti e aziende agricole che si ripartiscano profitti, rischi di impresa e decisioni. Per molti può essere una soluzione.

E l’Accademia come fondazione che conoscenze potrebbe trasferire ai contoterzisti?

Propongo una giornata sul contoterzismo e sui servizi agromeccanici. Durante l’evento lanceremmo il Decalogo del contoterzista, per ogni singola operazione di campo e per ogni coltura. Qualcosa di pratico che permetta ai contoterzisti che lo rispettano di fregiarsi del “bollino” dell’Accademia Nazionale di Agricoltura. Ancora meglio di tutte le Accademie. Una certificazione senza ideologie, ma con l’autorevolezza e l’indipendenza di un organizzazione basata sulle discipline scientifiche che intende far ragionare il consumatore sui concetti di made in Italy, qualità, sicurezza e rispetto dell’ambiente.