Mais e innovazione

Di   28 Agosto 2019

Negli ultimi 20 anni la superficie a mais in Italia è calata del 40%, nonostante sia un prodotto essenziale per la stalla e, indirettamente, per gran parte del made in Italy, dai formaggi alla carne. Come invertire tale tendenza?

Nel 1999 in Italia più di 1 milione di ettari erano coltivati a mais, la produzione era di circa 10 milioni di tonnellate e copriva quasi il 90% del fabbisogno nazionale. Con gli odierni 614mila (Ismea, novembre 2018) e 6 milioni di ton di prodotto all’annonellate, è quadruplicata la dipendenza dall’estero, passata dall’11% all’inizio del nuovo millennio al 47% nel 2017. Questo dovrebbe far suonare un camanello d’allarme e farci riflettere su cosa si possa fare per convincere gli agricoltori a invesire ancora nella filiera maidicola.

I tecnici dell’Ismea puntano il dito contro le condizioni climatiche sempre meno favorevoli e contro gli alti costi di produzione
a fronte di rese stabili, fattori che avrebbero spinto molti agricoltori a prediligere la soia, un’alternativa spesso più remunerativa rispetto al mais. Nello stesso periodo infatti la produzione di soia è aumentata di quasi il 20%, crescita che comunque non ha consentito di soddisfare la crescente domanda interna il cui fabbisogno ha portato a un aumento dei flussi di quasi l’80% in 20 anni. (Il report completo si trova sul sito di Ismea).

Come arrestare questo declino, che mette a rischio un comparto strategico per la filiera zootecnica italiana? La coltura del mais dovrebbe essere gestita con soluzioni innovative a vari livelli, per esempio usando una irrigazione localizzata unita alla fertirrigazione, per migliorare le performances produttive in modo sostenibile. Ma da sole le tecnologie irrigue non bastano. Devono essere accompanate da una rinnovata gestione complessiva della coltura (innovazioni genetiche, strumenti di programmazione aziendale, investimenti in ricerca ed innovazione tecnologica).

Il problema delle aflatossine è sempre attuale nel mais e non deve più essere affrotato con logiche di emergenza, ma va considerata come uno dei fattori da inserire regolarmente nei protocolli di produzione di questo cereale. Le “Linee guida per il controllo delle micotossine nella granella di mais” del Mipaaft, in raccordo con le Regioni, riassumono con finalità operative i punti critici e gli interventi da fare. Ad esempio la mitigazione degli stati di stress della pianta attraverso l’applicazione delle buone pratiche agricole (Bpa) favorisce il contenimento delle aflatossine; semine tempestive e raccolte anticipate riducono la suscettibilità del mais agli attacchi di patogeni tossigeni; concimazioni equilibrate, gestione delle malerbe, l’irrigazione, gestione accurata dei residui colturali, la scelta dell’ibrido e dell’investimento giocano un ruolo fondamentale nel contenimento delle aflatossine. La lotta biologica tramite l’utilizzo di ceppi atossigeni di Aspergillus flavus costituisce uno strumento efficace.

Ma il rilancio della coltura del mais non può fare a meno dell’innovazione varietale, indispensabile per raggiungere obiettivi di produttività e redditività, oltre che di qualità e salubrità. Lo società sementiere italiane offrono un ampio ventaglio di ibridi, che si distinguono per capacità produttiva, precocità, adattabilità ambientale, destinazione d’uso, suscettibilità a patogeni fungini ed contaminazione da micotossine.
Ma è necessario disporre anche di nuovi ibridi che siano più performanti quantitativamente e qualitativamente. La produttività è sempre il criterio determinante. Ma, rispetto al passato, la densità di semina è sempre meno una costante grazie alla presenza di linee genetiche in grado di adattarsi a investimenti di semina più alti (fino a 10 semi a metro quadro e oltre).
Oltre alla densità, altri fattori da migliorare sono la tolleranza agli stress ambientali e ai patogeni. Anche gli aspetti qualitativi del prodotto raccolto si sono fatti via via più importanti. In particolare servono le granelle che abbiano caratteristiche fisiche e nutrizionali che le rendano adatte a processi di macinazione e lavorazione dedicati alle filiere del consumo umano.

Non solo. La salvaguardia del mais passa anche attraverso la concia del seme certificato, punto di partenza di ogni produzione tracciata e di qualità. La concia delle sementi è una tecnica all’avanguardia che in maniera mirata e sicura, grazie all’applicazione sul seme di prodotti appositamente valutati e autorizzati, consente di minimizzare l’impatto della chimica sull’ambiente. Senza l’utilizzo di sementi conciate, le perdite di raccolto potrebbero essere significative.

Per recuperare competitività occorre dunque più innovazione a 360 gradi. Anche l’innovazione agrotecnica ricorpre un ruolo essenziale con l’adozione di tecnologie per l’agricoltura di precisione (ad es. l’impiego di sistemi di georeferenziazione e della semina variabile), mentre le lavorazioni conservative costituiscono strumenti utili per favore la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del mais e del suo settore.
Le soluzioni ci sono e non sono più fantascienza. E allora occorre usarle come supporto alle decisioni imprenditoriali e produttive.