Pac, cartellino giallo da Wageningen

Di   2 Febbraio 2022

In uno studio la Wageningen University & Research ammonice la strategia verde che ispira la prossima Pac ’23-’27. Critiche ma anche raccomandazioni dalla più autorevole istituzione in ambito agricolo del mondo

Come si sa, la Pac ’23-’27 intende far compiere un balzo in avanti all’agricoltura nella direzione del sentire comune, ben delineate dalle strategie Farm to Fork (dal produttore al consumatore) e biodiversità. Da qui la soluzione di ridurre l’utilizzo di fitofarmaci e nutrienti per le piante e aumentare le produzioni biologiche. D’altra parte fitofarmaci e nutrienti sono visti dal comune cittadino europeo alla stregua di veleni, indipendentemente dalla dose.

L’Università olandese di Wageningen ha finalmente dedicato un attesissimo studio (“Impact assessment of ec 2030 green deal targets for sustainable crop production“) a quella che non è più una ipotesi di strategia ma la nuova politica agricola comune alla quale manca solo qualche passaggio formale per vincolare tutti gli stati membri e tutti gli agricoltori.

Uno studio attesissimo perché l’autorevolezza dell’Università olandese di Wageningen è, per fare un esempio, pari a quella del Cern di Ginevra nei viaggi nell’infinitamente piccolo della fisica nucleare o quelli della Nasa nello spazio.

Lo scenario che arriva da Wageningen è però sconfortante per le aziende agricole. Per loro si prospetta un futuro caratterizzato da cali della produzione, riduzione dei rendimenti dei raccolti, possibile aumento dei prezzi
L’Unione europea incrementerà le importazioni di prodotti agricoli provenienti da paesi extraeuropei e faticherà a vendere all’estero quanto produrrà.

I ricercatori hanno preso in esame sia colture perenni, come mele, olive e agrumi, sia quelle annuali come il pomodoro o il frumento e hanno condotto 27 dettagliati casi di studio in sette Paesi dell’Unione europea, delineando le possibili ricadute sui rendimenti, sulla produzione e sui prezzi. 
In uno scenario che prevede, accanto ad un dimezzamento dell’uso di fitofarmaci e nutrienti per le piante, una percentuale pari almeno al 10% dei terreni agricoli lasciata alla natura, le aziende saranno chiamate a fare i conti con un calo compreso tra il 10% e il 30% della produzione media (in particolare per agrumi e mele) e con un incremento dei prezzi anche del 13% (emblematico il caso del vino, olive e del luppolo). Di conseguenza, il commercio internazionale cambierà in modo significativo: le esportazioni dell’UE diminuiranno e le importazioni dell’UE aumenteranno (il volume dell’importazione di prodotti può raddoppiare).
Il biologico porterà sicuri benefici per la salute e il suolo, sempre che vi sia un uso corretto dei mezzi tecnici quali il rame, ma solo per le colture annuali.

I ricercatori non mancano di fare alcune raccomandazioni per aiutare a ridurre/superare gli impatti negativi della riduzione di pesticidi e nutrienti:

  1. l’innovazione è fondamentale, in particolare per le colture permanenti: nelle tecniche di protezione delle colture, come il biocontrollo, nell’allevamento, nell’agricoltura di precisione, nei biostimolanti e in tutte le tecniche che possono contribuire alla resilienza della produzione agricola contro parassiti, erbe infestanti e malattie. Fondamentale approvare le nuove tecniche di editing genetico.
  2. Come si diceva è la dose che fa il veleno: tale principio dovrebbe valere nella valutazione dei principi attivi dei fertilizzanti.
  3. A un aumento dell’offerta di prodotti bio potrebbe non corrispondere un pari aumento della domanda. Se così fosse i prezzi del bio calerebbero e le maggiori spese di produzione non sarebbero adeguatamente remunerate.
  4. Occorrono strategie di mitigazione: le strategie farm to fork e della biodiversità creano  uno svantaggio competitivo rispetto alle importazioni dell’Unione europea, un aumento della dipendenza commerciale, effetti indiretti sull’uso del suolo (quasi 7 milioni di ettari), una probabile perdita di reddito agricolo e
    un ridotto contributo dell’Europa all’obiettivo “fame zero”.

UNA QUINTA RACCOMANDAZIONE

A tali raccomandazioni se ne potrebbe aggiungere una quinta, l’energia, tema centrale per l’agricoltura: il settore primario ne consuma tanta, direttamente e indirettamente, sotto forma di carburante, gas, elettricità concimi e mezzi tecnici. Ma gli agricoltori possono anche essere produttori di energia rinnovabile, nell’ottica di un’economia circolare e sostenibile. Non si tratta di trasformare il comparto in un settore agroenergetico. Agricoltori e contoterzisti dovranno differenziare le fonti energetiche, continuare a investire nelle rinnovabili e puntare, parallelamente, alla riduzione dei consumi energetici, come già sta indicando la cosiddetta smart agricolture che permette di contenere il consumo di acqua, l’utilizzo di pesticidi o fertilizzanti.
I tre settori energetici di maggiore interesse sono quelli del biogas e biometano, dove il Pnrr mette a disposizione 1,9 miliardi di euro e dove la strada è tracciata nel segno della metanizzazione degli impianti, la produzione di energia dal sole e i crediti di carbonio. l’ambito fotovoltaico, in particolare, vede grandi opportunità per agrisolare e agrivoltaico, a patto che le regioni rivedano parte dei vincoli territoriali affinché si possano raggiungere gli obiettivi prefissati, i famosi 50 Gw di energia prodotta dal sole, alleggerendo i vincoli sulle aree agricole e, soprattutto, marginali, consentendo agli agricoltori di sfruttare al meglio questi spazi attualmente sottoutilizzati. Infine, per l’ambito dei crediti di carbonio, stiamo assistendo a un mercato interessante, nella speranza che non incappi una bolla speculativa: le norme, in Europa, sono attese per la fine del 2022 e, nel frattempo occorre che gli agricoltori individuino le produzioni giuste per il carbon farming, si sviluppi l’assistenza tecnica necessaria a consentire al produttore l’ottenimento dei crediti e che la finanza nazionale e internazionale accompagni il processo evitando le speculazioni.