Riduciamo la complessità 4.0

Di   16 Novembre 2022

Delegato di giunta nazionale Confagricoltura, già Presidente di Confagricoltura Puglia, Donato Rossi è tra i promotori del convegno organizzato da Uncai e Confagricoltura al palazzo dell’Archiginnasio di Bologna, in occasione di Eima International. Un covegno dall’alto spessore culturale che ha voluto porre al centro il ruolo della formazione per un uso consapevole delle tecnologie dell’agricoltura digitale. Che oggi si acquistano grazie agli sgravi fiscali di industria 4.0 ma che non si usano a piena potenza.

Donato Rossi

Forse perché non c’è piena coscienza di cosa significhi essere 4.0?

Proprio così. Per accedere agli sgravi fiscali del Piano Transizione Industria 4.0 occorre che l’investimento soddisfi alcuni requisiti. Che si tratti di un bene materiale o immateriali deve essere 4.0. Ma cosa significa essere 4.0? Il convegno è stato pensato proprio con l’intenzione di rispondere a questa domanda. Cosa significa essere 4.0?

Partiamo allora dal credito d’imposta, gli investimenti in agricoltura 4.0 e innovazione sono triplicati in un solo anno. Un successo per chi cede nell’innovazione…

Il credito d’imposta è uno strumento rapido, ma di fatto ha un profilo legato a una operatività finanziaria e fiscale che nel tempo è soggetta a verifiche. Chi ha acquistato un mezzo agricolo approfittando degli sgravi fiscali “Industria 4.0” sarà soggetto a controlli finalizzati alla verifica che l’investimento soddisfi tutte le caratteristiche digitali richieste. In caso contrario, non solo si perde il credito di imposta del 40% (del 15% in caso di software), toccherà pagare interamente di tasca propria il mezzo agricolo. Si va anche incontro a sanzioni. Il timore diffuso di inc0rrere ij sanzioni fa pensare che non ci sia piena coscienza di cosa vuol dire essere 4.0.

Può fare qualche esempio di 4.0?

Meglio sfatare qualche falso mito che s sente in giro. In particolare due errori comuni. Non è vero che basta la guida automatica per soddisfare i requisiti della 4.0. Neppure un attrezzo semplicemente Isobus soddisfa i requisiti.

Si sente dire che le parole chiave sono connettività e interoperabilità. Cosa significa?

Occorre che sul trattore sia presente un sistema di connettività wireless per inviare e ricevere da remoto una serie di informazioni e dati utili su come la macchina sta lavorando. Per esempio si devono poter inviare mappe di prescrizione o impostazioni di lavoro. Tramite dei sensori il trattore dovrebbe inoltre ricevere dati utili alla sicurezza oppure alla manutenzione della macchina. Non solo, occorre essere in grado di gestire i dati di tutte le macchine coinvolte nelle lavorazioni in campo tramite il cloud e delle app, anche dal proprio cellulare.

La gestione dei dati provenienti dalle diverse macchine e attrezzature deve infatti essere integrata e interoperabile, ossia bidirezionale. Solo in pochi casi è sufficiente una connettività monodirezionale; solo per le funzionalità di telemetria, posizionamento, diagnosi, senza quindi la necessità di ricevere settaggi o prescrizioni da remoto.

Si tratta di concetti che agricoltori e contoterzisti masticano?

Dovranno farlo, ma non nascondiamoci, si tratta di aspetti tecnici complessi anche per loro.

Come possiamo affrontare e risolvere positivamente questa complessità?

Per provare a dare una risposta vorrei parlarvi brevemente di neutralità tecnologica e dei suoi effetti. La neutralità tecnologica è un principio molto di moda oggi. Secondo questo principio non è giusto scommettere su una sola tecnologia; al contrario è meglio prevedere un approccio flessibile alle diverse tecnologie a disposizione, senza che una prevalga necessariamente sulle altre.

Questo va benissimo. In ambito accademico e industriale deve andare così. Tutte le strade possibili vanno scandagliate alla ricerca di quella di volta in volta migliore. È giusto avere un approccio flessibile alle diverse tecnologie, per esempio per ridurre le emissioni, ma anche per interconnettere l’agricoltura.

Grazie alla neutralità tecnologica la partita tra competitors tecnologici è aperta.

Troppo aperta. Di volta in volta, occorre però domandarsi se alcune risposte definitive se una tecnologia funziona oppure no ci siano già. Il problema è che quando ci sono, difficilmente arrivano subito a valle, agli utilizzatori, ma restano per anni a monte, con il rischio di investimenti o finanziamenti a perdere, senza ricadute positive sul mondo agricolo. Mai nessuno che ammetta che un prodotto o una tecnologia non funzioni.

Come si spiega questo ritardo?

Facilmente: la neutralità tecnologica è una leva commerciale formidabile a disposizione degli uffici marketing. Sappiamo di dover stare con gli occhi ben aperti, ma soprattutto quando si parla di digitale e 4.0 sappiamo anche di essere impreparati di fronte a chi vuole venderci una tecnologia che promette miracoli.

Ma il mondo agricolo non giova in alcun modo di questa neutralità?

Certo lo stesso mondo agricolo è neutrale dal punto di vista tecnologico, ma in un modo diverso dagli altr. È neutrale perché deve sapersi adattare, prima di tutto, alle condizioni pedoclimatiche. Agricoltori e terzisti hanno bisogno di mezzi agricoli flessibili, multiutility, soluzioni trasversali, ma anche di macchine e attrezzature estremamente specifiche per determinati contesti. Apparteniamo a un mondo dinamico e diversificato che non si può vincolare a scelte tecnologiche precise.

Se andiamo tutti nella stessa direzione, quella dell’efficienza e della qualità, perché dovrebbe creare problemi la neutralità tecnologica?

Con l’agricoltura digitale si assiste a un’espansione del mondo agricolo tradizionale, con l’ingresso di attori nuovi che non conoscono a fondo l’agricoltura. Arrivano così sul mercato soluzioni tecnologiche immature, nate per l’industria che a fatica sono adattate alle esigenze di agricoltori e contoterzisti. E comunque prima che si adattino passeranno anni, durante i quali sembrerà di aver investito male i propri soldi e il proprio tempo. Per non parlare della fatica per apprendere nuovi flussi di lavoro, basati sui big data raccolti da sensori in campo e sulle macchine.

Il mondo agricolo è così costretto a imparare a usare un linguaggio nato e cresciuto lontano dai campi. Come è potuto succedere?

La risposta che osso dare è che in questi anni si è sentita la mancanza di una regia. Sono mancate a monte delle linee di sviluppo che tenessero insieme pubblico e privato e che riconoscessero il contesto applicativo. Mi riferisco alle istituzioni.

E come se ne viene fuori?

A questo punto, per non lasciare soli agricoltori e contoterzisti a un far west digitale, occorre che questi facciano massa tra di loro, con le associazioni che li rappresentano, con i costruttori di mezzi agricoli e, speriamo, con il ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare, che ha il compito di agire, di prendere decisioni, fare delle scelte di campo per non lasciare tutti noi come pistoleri sospesi in un far west tecnologico finché incontriamo un uomo con il fucile che ci fa fuori.

Occorrere marcare un percorso congiunto verso un ricorso sensato, razionale, affidabile e friendly (simpatico) alle tecnologie digitali.

Visto che parla di associazioni, in concreto, che cosa sta facendo Confagricoltura?

Ci siamo così resi conto dell’urgenza di una gestione dei big data comune al bacino di utenza, al fine di rendere i dati disponibili con immediatezza al momento, per esempio, del controllo dei requisiti necessari ad accedere ai benefici della 4.0. La piattaforma HubFarm ha anche questa funzione. Una delle tante funzioni che permettono di misurare e quindi di riconoscere un valore economico ai big data raccolti in campo, soprattutto quelli che certificano i benefici agro ambientali apportati da talune pratiche agronomiche.

Un compito inedito per una associazione sindacale.

Occorre che noi associazioni ci facciamo responsabili di fronte agli imprenditori, dando loro risposte ma anche soluzioni, quasi chiavi in mano, alla necessità di abbracciare il digitale e il 4.0. Perché su questo non ci possono essere dubbi, il digitale è il futuro e per alcuni di noi già il presente.