START UP E AGRICOLTURA, UN DIALOGO POSSIBILE

Di   18 Novembre 2021

Dopo quasi due anni siamo nuovamente in presenza. Il 12 novembre Uncai ha partecipato con il suo consigliere Giuliano Oldani al periodico seminario dell’Osservatorio Smart AgriFood

Di Marco Renato Menga

vectorpouch / Freepik

L’incontro non era più da remoto, confidando nella traballante rete internet domestica, ma al Politecnico di Milano, incontrando gli altri partner, sostenitori e patrocinatori del gruppo di ricerca sull’agricoltura 4.0 che unisce Università di ingegneria di Brescia e Politecnico di Milano in una riflessione attorno alle tecnologie interconnesse dell’agricoltura digitale (sensori, droni, robot, data advanced analytics, software, mobile app, Internet of Things, Intelligenza artificiale, algoritmi, blockchain ecc).

“Facilitiamo l’incontro tra attori diversi per generare competenze e punti di vista nuovi”, ha introdotto il direttore Andrea Bacchetti (parte Università di Brescia) al quale ha fatto da eco Filippo Renga, cofondatore dell’Osservatorio, ricordando il senso di fare network e di incontrarsi: “cercare insieme nuovi modelli di business”.

“L’incontro ha cercato di mettere a fuoco il modello delle start up, al di là delle mode. Come valutarle e incontrarle, come creare una collaborazione di successo con una star up, tra nuove idee e talenti difficilmente strutturati come in azienda (ed è un bene), per lo più giovani e con la tendenza a fare le cose in modo diverso”, ci ha spiegato Giuliano Oldani.

“Tutto questo, però, deve essere pensato in funzione dell’agricoltura. Anzi di un’agricoltura che sta cambiando in una sintesi di tecnologia e ambiente, efficienza e sicurezza. Un’agricoltura che può essere pensata come un ecosistema dove il cambiamento va conosciuto (o riconosciuto) e affrontato”.

L’incontro ha voluto far passare il concetto che l’investimento in un una start up è l’ultimo passaggio, perché prima occorre adottare un modello industriale, anche in agricoltura, che tradotto significa (senza timore di aver capito male), aprirsi a una maggiore collaborazione sul lavoro e tra aziende. “Ed è esattamente quello che stanno facendo i contoterzisti con la start up CTSmart24”, commenta ancora Giuliano Oldani che della start up è anche il presidente: “Tra i soci di CTSmart24 ci sono ingegneri, ricercatori e informatici ma soprattutto contoterzisti di tutta Italia, non solo di Uncai, che hanno deciso di fare sinergia”.

Oggi la parola “sinergia” è di moda. L’idea di base è di un’impresa che deve rinnovarsi dotandosi di una mentalità industriale: “E non può essere diversamente, dal momento che, nel nostro caso, la start up dei contoterzisti nasce per alzare il livello di organizzazione dentro l’azienda e tra gli stessi imprenditori agromeccanici che con una app possono ora concretamente fare squadra, darsi una mano andando in aiuto al collega che cessa così di essere un competitor, ma parte di un eco sistema agromeccanico che assume sempre più i connotati di un centro multi servizi, professionale e indipendente”.

Tutto questo però attraverso le tecnolgie digitali. L’altra parola chiave è, infatti, “digitalizzazione” dei processi aziendali. Ossia tutto quello che viene fatto in campo, con il trattore o un attrezzo, viene immediatamente registrato, trasferito in ufficio e tradotto in statistiche e costi reali delle lavorazioni agromeccaniche, dei mezzi agricoli e degli operatori che li utilizzano. “Uno strumento formidabile che i terzisti stanno iniziando a usare per decidere quando acquistare una nuova macchina e quale macchina serve veramente alla loro azienda”, conclude Oldani.

MA COSA PUO’ DARE UNA START UP ALL’AGRICOLTURA?

Ma torniamo al workshop dell’Osservatorio Smart AgriFood. I ricercatori stanno censendo e analizzando centinaia di start up dell’agrifood a livello globale. Durante il seminario sono stati anticipati alcuni dati provvisori e alcune riflessioni che saranno presentate e discusse ufficialmente fra qualche mese, durante il loro convegno annuale. Senza dunque spoilerare (ossia anticipare) dati e riflessioni, comunque ancora ancora provvisori, le start up in agricoltura possono occuparsi di:

  • Mappatura e monitoraggio dei terreni e delle coltivazioni
  • Gestione aziendale
  • Monitoraggio delle serre a distanza
  • Tracciabilità alimentare e anti contraffazione
  • Monitoraggio a distanza degli animali
  • Irrigazione e trattamenti di precisione
  • Monitoraggio delle macchine da remoto
  • Riqualificazione degli scarti o delle eccedenze alimentari
  • Trasferimento dei dati al consumatore

Tutto questo può essere realizzato con una mobile app che invia alert (notifiche) personalizzati sul cellulare, un software di supporto decisionale, il controllo da remoto tramite sensori. Non sempre però le le soluzioni 4.0 sono abbastanza mature e stabili per garantirsi un futuro sul mercato: gli algoritmi (cioè le regole che l’intelligenza artificiale è tenuta a rispettare per aiutare l’agricoltore a prendere le decisioni migliori) hanno bisogno di migliorie costanti che possono arrivare solo da un mix di competenze agricole e informatiche: “Una prerogativa difficile da soddisfare che ha, per esempio, frenato gl annunci di soluzioni blockchain nel settore agroalimentare”, è stato detto durante il seminario, a significare che cresce la consapevolezza che talune tecnologie devono essere studiate più in profondità.

Durante la mattinata sono stati presentati, in particolare, due casi significativi per gli sviluppi tech dell’agrifood e delle start up del settore. Entrambi fanno riferimento all’indoor farming e sono la start up romana WALLFARM (è intervenuto Jacopo Teodori) e la brianzola Planet Farm (è intervenuto Lino dal Ben).

Si tratta di un modo di fare agricoltura (l’idroponica, la coltivazione fuori suolo in verticale) che richiede un elevatissimo livello di automazione e parecchia energia. I risultati sono però sorprendenti: la riduzione dello spreco di acqua (meno 95%), del consumo di suolo (meno 90%), l’assenza di pesticidi e diserbanti, rapido accrescimento degli ortaggi (a foglia) con un gusto puro, assoluto senza contaminazioni.

I nutrienti arrivano alla pianta come il latte dal biberon, la luce diventa una ricetta che cambia a seconda della pianta, creando così le condizioni ottimali affinché il seme sviluppi in piena libertà tutte le sue potenzialità, senza condizionamenti, senza deficit. “Cosa può darci il seme se gli diamo le condizioni ottimali? Possiamo creare un database agricolo con le informazioni sulla risposta di ogni tipologia di seme”, ha detto dal Ben. Senza contare che con l’indoor farming si produce ovunque, eliminando lunghi viaggi su gomma, su rotaia o per nave, non è necessaria la fase di lavaggio prima del consumo e la qualità organolettica dei prodotti non è scalfita da alcunché.

Un cambio di paradigma che produrrà effetti irreversibili, crediamo, sul mercato facendo apparire antiquate tante altre etichette di purezza e salubrità del prodotto.

Di Marco Renato Menga

[FINE PRIMA PARTE]