L’agroalimentare italiano resiste all’inflazione

Di   19 Ottobre 2023

Ismea ha presentato il suo rapporto sul settore, che vale il 15% del pil. Il ministro Lollobrigida ha chiuso i lavori. I prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti meno della media Ue, ma hanno pesato sulle tasche delle famiglie. L’export ha raggiunto il record di 60 miliardi nel 2022

L’Italia è un paese di buongustai, ma anche di bravi produttori e trasformatori di cibo. Lo dimostra il Rapporto sull’agroalimentare italiano presentato da Ismea a Palazzo Merulana, davanti a una platea di esperti, rappresentanti delle associazioni di categoria e del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida.

Il rapporto fa il punto sulla situazione del settore, che vale il 15% del pil e che ha saputo affrontare le sfide dell’inflazione, della concorrenza internazionale e dei cambiamenti climatici.

L’inflazione è stata la spina nel fianco dell’economia italiana nel 2022, con un aumento dei prezzi del 5,3% su base annua. L’agroalimentare è stato uno dei settori più colpiti, perché dipende dall’estero per l’energia e le materie prime e perché incide molto sulla spesa delle famiglie. Tuttavia, i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti meno della media Ue (8,1% contro 10,2%) e meno di quelli di Germania e Spagna. Meglio di noi ha fatto solo la Francia, che ha una maggiore autosufficienza alimentare ed energetica.

L’aumento dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto e il risparmio delle famiglie italiane, soprattutto quelle più povere, che spendono di più in cibo. Gli acquisti alimentari domestici sono diminuiti in volume (-3,7%) e aumentati in valore (+5%). Le famiglie hanno ricomposto il carrello della spesa cercando di risparmiare e sacrificando la qualità. Ma l’inflazione non è stata causata da speculazioni o abusi lungo la filiera agroalimentare. Al contrario, la filiera ha mostrato una buona capacità di assorbire e smorzare gli shock dei prezzi internazionali degli input. Se l’agricoltura e l’industria hanno subito gli aumenti dei costi in tempo reale, la distribuzione e il consumo finale li hanno trasferiti con maggiore gradualità, per non penalizzare troppo le vendite.

L’agroalimentare italiano ha dimostrato anche una forte competitività sui mercati esteri. Le esportazioni sono cresciute al ritmo del 7,6% all’anno nel decennio 2012-2022, superando la media mondiale (+5,6%) e aumentando la quota di mercato dal 2,8% al 3,4%. Lo stesso livello della Spagna, ma inferiore a quello di Germania e Francia. L’Italia ha migliorato il suo posizionamento in quasi tutti i paesi acquirenti. L’Italia è leader mondiale nell’export di trasformati di pomodoro, pasta, vino, formaggi; ha un ruolo di rilievo nel pane, nei biscotti, negli ortofrutticoli trasformati, nel caffè, nel tè e nelle tisane e nella molitura del grano e del riso.

Il prezzo medio delle esportazioni italiane è secondo solo a quello francese, segno di un alto livello di qualità. Il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana è arrivato a 64 miliardi nel 2022: 37 miliardi dall’agricoltura e 27 dall’industria alimentare. Se si aggiungono anche la distribuzione e la ristorazione si arriva al 7,7% del pil; se si considerano anche i servizi e le attività necessarie per far arrivare il cibo dal campo alla tavola si supera il 15%.

Ma l’agroalimentare italiano ha anche delle debolezze strutturali, che ne limitano lo sviluppo. L’agricoltura soffre della scarsa presenza di giovani imprenditori e del basso livello di formazione. Il tessuto produttivo è frammentato, nonostante un lento processo di concentrazione e riorganizzazione. L’accesso alla terra è difficile, per la scarsa disponibilità e i prezzi elevati.

“Per superare queste criticità, servono politiche di filiera che coinvolgano tutti gli attori, dall’agricoltura all’industria, dalla distribuzione alla ristorazione. Servono investimenti in innovazione, digitalizzazione, qualità, sostenibilità. Servono incentivi, agevolazioni, garanzie. Servono strumenti di promozione e difesa sui mercati internazionali. L’Italia ha una grande tradizione agroalimentare, ma non può vivere di sola memoria. Deve guardare al futuro con coraggio e ambizione. Deve valorizzare le sue eccellenze e le sue diversità. Deve essere orgogliosa della sua identità e aperta al confronto. Solo così potrà continuare a essere un paese di buongustai e di bravi produttori, contoterzisti e trasformatori di cibo”, il commento del presidente Uncai Aproniano Tassinari.

Di Marco R Menga

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