NUOVO PROTOCOLLO COVID SUL LAVORO

Di   11 Luglio 2022

Con il “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/ Covid-19 negli ambienti di lavoro” dello scorso 30 giugno siamo al terzo restyling dell’originario protocollo sottoscritto il 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile 2020 e successivamente il 6 aprile 2021.

Si tratta di un testo assai più semplice di quello del 6 aprile 2021 e ispirato evidentemente al superamento della logica emergenziale. L’obiettivo resta quello di sempre, ossia a evitare i contagi da coronavirus in azienda. Infatti il Covid, se contratto sul lavoro, è considerato infortunio sul lavoro e il medico certificatore redige il certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.

Il fatto che il Covid possa essere di origine lavorativa (o meglio possa essere ritenuto tale) rende ancora più importante per i datori di lavoro l’adozione di idonee misure di sicurezza atte ad evitare che la responsabilità di tale evento vada a ricadere sull’azienda.
In tal caso vi sarebbero infatti:

  • responsabilità penali;
  • conseguenze legate alla possibilità dell’INAIL di instaurare un regresso;
  • possibili danni economici legati all’eventualità che il lavoratore richieda il risarcimento di ulteriori danni subiti, aggiuntivi rispetto a quanto liquidato dall’Istituto assicuratore (cd. danno differenziale).

In pratica, l’azienda che adotta il nuovo protocollo si mette quanto meno al riparo da responsabilità, anche perché è espressamente indicato che esso aggiorna le misure contenute nei protocolli precedenti.

Il nuovo protocollo, tuttavia, presenta punti non chiarissimi, anche per via del fatto che si tratta di un testo meno precettivo: in precedenza, le indicazioni erano assai rigorose mentre in questo caso si insiste molto (si pensi al caso assai noto delle mascherine sui luoghi di lavoro) sulla raccomandazione piuttosto che sull’obbligo.

Innanzitutto il nuovo protocollo rende ancora più rilevante il ruolo del medico competente perché si tratta del soggetto che provvede, in primis, alla valutazione in concreto di particolari misure di sicurezza da adottare nei confronti di determinati gruppi di lavoratori.
Di fatto occorre coinvolgere medico competente e Responsabile del servizio di prevenzione e protezione per verificare la concreta realtà lavorativa aziendale per adattare (come del resto il protocollo richiede) le misure di sicurezza alla concreta realtà aziendale.

In secondo luogo è necessario che il datore di lavoro curi che i dipendenti (e i terzi che entrino in azienda) abbiano la massima informazione possibile circa le misure di precauzione da adottare: tale obbligo è previsto in modo specifico dall’art. 1 del protocollo, ove si prevede che il datore di lavoro fornisca un’informazione adeguata sulla base delle mansioni e dei contesti lavorativi, con particolare riferimento al complesso delle misure adottate cui il personale deve attenersi in particolare sul corretto utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale per contribuire a prevenire ogni possibile forma di diffusione del contagio.

In gerzo luogo il datore di lavoro dovrà vigilare sull’adozione delle misure di sicurezza da parte dei lavoratori perché ove un evento infortunistico sia dovuto a un difetto di vigilanza del datore di lavoro (o peggio ancora alla violazione del dovere di formazione/informazione sui rischi previsto anche nel protocollo) esso gli verrà certamente addebitato.

Non sfugge infine la necessità di un periodico confronto sia con il medico competente e con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione sia con i Comitati per l’applicazione la verifica delle regole anti Covid.

MASHERINA

Se in generale l’utilizzo delle mascherine non è più obbligatorio e il protocollo si limita a ribadire che “l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo facciali filtranti FFP2 anche se attualmente obbligatorio solo in alcuni settori secondo la vigente disciplina legale, rimane un presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori ai fini della prevenzione del contagio nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative”, il medico competente e il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione diventano centrali al fine di individuare eventuali soggetti che per la tipologia dell’attività svolta o per la intrinseca fragilità siano obbligati (obbligati!) ad utilizzare i dispositivi di protezione.

CONTROLLO DELLA TEMPERATURA E SANIFICAZIONE

Benchè il tema delle mascherine sia il più discusso, il coinvolgimento del medico competente è rilevante anche per altri aspetti. Lo stesso protocollo ribadisce che il medico “collabora con il datore di lavoro, il RSPP e le RLS/RLST nell’identificazione ed attuazione delle misure volte al contenimento del rischio di contagio da virus SARS-CoV-2/Covid-19.” Si pensi al passaggio in cui il protocollo prevede che “possa” essere misurata la temperatura all’ingresso ai dipendenti: non sfugge che la valutazione circa l’opportunità di predisporre tale misurazione non possa che essere affidata al medico competente al fine di adeguare le misure di contrasto al virus alla specifica realtà aziendale.

APPALTI

Sarà poi necessario raccordarsi con tutte le aziende terze che operano all’interno del luogo di lavoro per gestire con prontezza eventuali casi di lavoratori risultati positivi: anche qui il ruolo del medico competente è fondamentale poiché sarà lui ad informare tempestivamente il committente. Ancor prima però l’azienda committente è tenuta a dare “all’impresa appaltatrice, completa informativa dei contenuti del Protocollo aziendale e deve vigilare affinché i lavoratori della stessa o delle aziende terze che operano a qualunque titolo nel perimetro aziendale, ne rispettino integralmente le disposizioni”. Non basta occuparsi dei “propri” lavoratori ma occorre raccordarsi con le aziende terze che operano nello stabilimento produttivo.

E se nonostante l’adozione del protocollo ci sono casi di Covid in azienda?

Nel caso di un certificato medico di infortunio (cioè un certificato che riconduca il caso di Covid al lavoro), l’azienda dovrà presentare la denuncia di infortunio ex articolo 53 del Testo unico n. 1124/1965 evidenziando, se del caso, eventuali circostanze note che facciano ritenere che il contagio sia avvenuto in azienda. Il datore di lavoro dovrà comportarsi nello stesso modo se la denuncia di infortunio venga richiesta dall’INAIL. In questi due casi (ma solo in questi), la denuncia non dovrà mai essere omessa.
Quanto alla responsabilità di un eventuale contagio, il rispetto delle misure obbligatorie previste nel Testo unico n. 81/2008 nonché l’adozione nella realtà aziendale del nuovo protocollo tra Governo e Parti sociali saranno la migliore tutela per il datore di lavoro.