Ambiente, energia e Recovery Fund

Di   27 Maggio 2021

Il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” per l’ambiente – PNRR recepito a Bruxelles dal “Recovery Fund”, permetterà all’Italia di ricevere straordinarie risorse finanziare per raggiungere gli obiettivi della “transizione ecologica” di abbattere del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 ed azzerarle entro il 2050. Ma l’agricoltura sarà rispettata?

Nella foto il nuovo Arion 400 di Claas

Sono noti i tempi per realizzare la transizione ecologica: c’è un arco trentennale di interventi, ma le prime verifiche della Commissione Europea scatteranno nel primo quinquennio, e le scadenze saranno trimestrali. Intanto per il 2030 occorre ridurre l’inquinamento alla fonte, rispetto alla situazione attuale, e segnatamente:

  • migliorare la qualità dell’aria in modo da ridurre del 55 % il numero di morti premature causate dall’inquinamento atmosferico;
  • migliorare la qualità dell’acqua riducendo i rifiuti, i rifiuti di plastica in mare (del 50 %) e le microplastiche rilasciate nell’ambiente (del 30 %);
  • migliorare la qualità del suolo riducendo del 50 % le perdite di nutrienti e l’uso di pesticidi chimici;
  • ridurre del 25 % gli ecosistemi dell’Ue in cui l’inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità;
  • ridurre del 30 % la percentuale di persone che soffrono di disturbi cronici dovuti al rumore dei trasporti;
  • ridurre in modo significativo la produzione di rifiuti e del 50 % i rifiuti urbani residui.

Gli obiettivi, per essere centrati, hanno bisogno di un’agricoltura nuova perché le potenti lobby ambientaliste accusano, poco importa se ingiustamente, il sistema produttivo agroalimentare di essere la principale causa di emissioni di CO2. Per questo spingono affinché l’agricoltura intensiva non riceva sostegni.

Per questo occorre domandarsi se siano sufficienti i fondi destinati all’agricoltura. Per ora, nel Piano governativo le misure dirette al settore agricolo mobilitano complessivamente 3,68 miliardi (su un totale di 86 miliardi di euro), inclusi quelli della transizione ecologica e quindi ecosostenibili. Nel riparto, 1,5 miliardi andranno nell’insieme all’efficienza energetica, fotovoltaico e strutture; 880 milioni all’agrosistema irriguo e risorse idriche, 800 milioni al piano per la logistica e 500 milioni alle innovazioni per la meccanizzazione.

L’agricoltura è consapevole delle responsabilità di operare entro parametri ecosostenibili, tuttavia l’attuazione del Piano governativo sembra, viste le cifre, passare attraverso interventi settoriali che si prospettano disorganici, divergenti, in gran parte da definire e quindi ancora suscettibili di discussione e modifiche.

IL NODO ENERGIA

I fondi dovranno favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili, per far raggiungere al paese, nel corso di un decennio, una potenza di 70 gigawatt, derivata essenzialmente da solare ed eolico. Con i ritmi di crescita attuali (incremento annuo di circa 0,8 gigawatt) saremo dunque ben lontani dal centrare l’obiettivo.
La strategia che si sta delineando in Italia vede privilegiare i sistemi fotovoltaici e solari già ampiamente disseminati dal Nord al Sud (tetti di abitazioni, centri industriali, coperture di superfici di suolo, caseggiati rurali, stalle, magazzini, ecc.) che hanno finora goduto di varie forme contributive. All’energia del sole va aggiunta l’energia verde ricavata dal biometano, pure in espansione con significativi impianti industriali operanti in varie regioni.
Il mondo agricolo deve però dimostrarsi pronto a cogliere le opportunità che si aprono nel solare e biometano, senza sollevare veti o muri, come invece sta accadendo nei confronti dell’agrisolare. Il rischio è di essere esclusi dai fondi.
Inoltre si potrebbe far valere l’enorme contributo alla lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico dato dalle risorse agroforestali distribuite su oltre un terzo della superficie del paese (fissazione della CO2 ed emissione di O2).

Servono però anche metodologie innovative che non sacrifichino l’agricoltura perché c’è anche la sovranità alimentare. Oggi il nostro sistema agroalimentare produce meno della metà del cibo necessario alla popolazione. Si tratta di cibo di eccellenza qualitativa, come dimostrano la diffusione del biologico e della produzione integrata, i sistemi di certificazione, i marchi e le numerose tipicità locali. Occorre quindi produrre di più, ma senza cedere ai consumi imposti o promossi da gruppi multinazionali che producono o comprano commodities, prodotti ortofrutticoli e specialità dove hanno maggiore convenienza, non importa se manca la decarbonizzazione (l’Italia produce emissioni per solo il 9% del totale, rispetto al 15% degli Stati Uniti, al 30% della Cina e al 35% dei paesi emergenti). È stato addirittura istituito da poco un mercato finanziario mondiale dei “crediti di carbonio” che aiuta i trasgressori a mantenere attive le loro emissioni. Una bolla speculativa che non fa certo bne all’ambiente.

Altri paesi stanno percorrendo già strade alternative al solare o all’eolico. Per esempiom la Francia sta progettando un mixaggio di varie forme energetiche pulite, inclusi mini reattori nucleari da soli 340 megawatt. Anche la Germania dei Verdi sta preparando proposte alternative a difesa dell’ambiente.

Per ora il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha esprsso l’intento di dare titolo, fra le energie verdi e rinnovabili, anche all’idrogeno, da introdurre per trasporti e mobilità non solo urbani, ma anche per decarbonizzare la grande industria (es. Ilva). Questo obiettivo sfrutterebbe le ricerche e tecnologie innovative di processo italiane, già realizzate con successo da alcune grandi aziende statali.

CRITICITA’

  • La transizione ecologica avrà un costo ambientale “elevatissimo”:
    • Per l’installazione di una abnorme quantità di pannelli fotovoltaici, il PNRR potrebbe sottrarre all’agricoltura oltre duecentomila ha di suolo, incluso quello incolto (complessivamente, poco meno del 2% della superficie agraria coltivata)
    • In Italia l’insediamento di pale eoliche può avvenire dove non c’è vento, come più volte denunciato da Vittorio Sgarbi.
    • produrre energia dall’idrogeno richiede grandi quantitativi di acqua che rischiano di essere sottratti all’agricoltura
  • Le difficoltà di rispettare i tempi di attuazione del piano, potrebbe imporre una “legge di accelerazione più che di semplificazione” burocratica per le opere da realizzare, perché se il piano fallirà si perderanno i soldi.
  • Si dice che l’applicazione massiccia delle innovazioni tecnologiche digitali permetterà all’agricoltura di raggiungere i livelli green desiderati dagli ambientalisti. Probabilmente è così, ma 5 anni fa l’allora Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina aveva previsto che nel 2021 le tecnologie dell’agricoltura 4.0 avrebbero raggiunto il 10% della SAU, mentre la stima allo scorso anno si ferma al 3-4%. Un ritardo dovuto essenzialmente al poco coinvolgimento degli agromeccanici quali pivot dell’innovazione tecnologica. Lo sono stati per un solo anno, quando sono stati introdotti l’iper e il super ammortamento. Quando l’agevolazione è stata trasformata in credito d’imposta 4.0, si è smesso di puntare sugli agromeccanici per il rinnovamento e l’efficientamento dell’agricoltura italiana. La storica frammentazione e polverizzazione delle terre e oltre un milione di piccoli agricoltori da “filiera corta” (spesso amatori e part time senza capitali di investimento) non permetteranno di raggiungere gli standard di sicurezza sul lavoro e di ecosostenibilità desiderati né tantomeno di introdurre la digitalizzazione agricola preconizzata dal Ministro (siano sistemi interattivi, monitoraggi in rete, algoritmi e intelligenza artificiale, attuazione di risparmi energetici di precisione, fino all’utilizzo di droni e robot ecc.). Il cambiamento per essere sistemico deve guardare agli agromeccanici e alla professionalità che solo loro hanno interesse di introdurre, pur con sacrificio, in agricoltura.