Ripristinare le torbiere? Sì, ma con criterio e senza fanatismo

Di   26 Settembre 2023

Le torbiere sono degli ecosistemi preziosi, che svolgono una funzione fondamentale nel sequestro del carbonio e nella regolazione del ciclo dell’acqua. Sono anche habitat di grande biodiversità, che ospitano specie vegetali e animali uniche e minacciate. Ma le torbiere sono anche fragili e vulnerabili, e negli ultimi decenni hanno subito una forte riduzione e degradazione a causa delle attività umane. Drenaggio, sfruttamento, incendi, siccità e inondazioni hanno compromesso la loro integrità e la loro capacità di assorbire e immagazzinare il carbonio.

Si stima che le torbiere degradate siano responsabili del 5-10% delle emissioni globali di CO2 di origine antropica. Per questo motivo, molti ambientalisti e scienziati sostengono la necessità di ripristinare le torbiere prosciugate o danneggiate, riportandole alle loro condizioni naturali di umidità e vegetazione. Si tratta di un’operazione che potrebbe impattare sul clima, visto che le torbiere coprono solo il 3% della superficie terrestre ma contengono il 30% del carbonio organico del suolo.

Secondo alcuni studi, per rispettare l’accordo di Parigi sul clima e raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050-2070, bisognerebbe ripristinare almeno 500mila chilometri quadrati di torbiere prosciugate, l’equivalente della Spagna.

Ma il ripristino delle torbiere è davvero così semplice ed efficace come sembra? O nasconde delle insidie e dei rischi che vanno valutati con attenzione?

A queste domande cerca di rispondere un’analisi pubblicata su Nature da due docenti delle università del Texas e di Exeter, che hanno passato in rassegna tutta la letteratura recente sulla risposta delle torbiere sottoposte a ripristino dopo essere state degradate. La loro conclusione è che il ripristino delle torbiere può avere effetti positivi sul sequestro netto del carbonio, ma non sempre riesce a recuperare completamente la biodiversità, il regime idrologico e la struttura del suolo torboso originari. Questo significa che le torbiere ripristinate potrebbero essere meno resilienti ai disturbi futuri, come gli estremi climatici o le invasioni biologiche.

Gli autori citano anche due casi di successo di siti di torbiere ripristinati in Canada e in Scozia, dove erano state drenate per ricavarne torba o per far spazio a piantagioni di conifere. In entrambi i casi, il ripristino ha comportato il trasferimento di strati di muschio Sfagno, una pianta tipica delle torbiere che ha la capacità di trattenere l’acqua e di creare un ambiente acido favorevole alla formazione della torba. Tuttavia, anche in questi casi il recupero della vegetazione è stato parziale e limitato alle zone più umide della palude. Inoltre, il ripristino ha richiesto tempi lunghi (oltre dieci anni) e costi elevati.

Queste considerazioni ci portano a riflettere sulle modalità e sui criteri con cui si intende intervenire sulle torbiere. Non si tratta infatti di operazioni neutre o innocue, ma di scelte che implicano dei compromessi tra diversi obiettivi e interessi.

Ripristinare le torbiere, intervento che vedrebbe sicuramente i contoterzisti soggetti propositivi, significa infatti modificare l’uso del suolo e incidere sulle attività economiche e sociali che vi si svolgono. Significa anche decidere quali funzioni ecosistemiche si vogliono privilegiare e quali si vogliono sacrificare. Significa infine valutare i benefici e i costi a breve e a lungo termine, sia per le torbiere stesse sia per il clima e la società. Non possiamo quindi accettare l’idea di una ripaludificazione indiscriminata e ideologica delle aree fluviali, che ignora le conseguenze economiche, sociali e ambientali di tale scelta. Non possiamo neanche tollerare che il ripristino delle torbiere sia usato come una scusa per acquistare crediti verdi da parte di realtà che inquinano e che non hanno alcuna intenzione di ridurre le proprie emissioni. Questo sarebbe un modo per monetizzare il carbonio a scapito della qualità della vita delle comunità locali e della salvaguardia degli ecosistemi.

Dobbiamo invece sostenere una gestione idrogeologica del territorio che sia rispettosa degli ecosistemi acquatici e che tenga conto della complessità e della diversità delle situazioni. Dobbiamo favorire la protezione delle torbiere esistenti, la loro tutela e il loro ampliamento, ma solo quando possibile e opportuno, seguendo i consigli del mondo della ricerca e dell’università. Dobbiamo infine promuovere l’agricoltura irrigua e il governo delle acque nei territori agricoli, come parte della soluzione per mitigare il cambiamento climatico attraverso lo stoccaggio di CO2 nel suolo e nelle biomasse.

Ripristinare le torbiere è un’idea buona, ma se intrapresa con il piglio radicale dell’ideologia rischia di risultare solo incredibilmente stupida.